Gli ebrei sotto scacco
e la memoria di Auschwitz

Quando il 27 gennaio 1945 i soldati dell’Armata Rossa entrarono nel campo di sterminio di Auschwitz per liberarne i prigionieri scoprirono una realtà raccapricciante. Inimmaginabile. Sessant’anni dopo, nel novembre del 2005, l’Assemblea generale delle Nazioni unite designava il 27 di gennaio come il Giorno della Memoria delle vittime della Shoah per non dimenticare, perché la memoria serva a custodire gli orrori di un terribile passato e impedisca di cancellarlo dalla storia, ma non solo.

Anzi, la conoscenza e la ricorrenza devono fungere da monito perché una tale catastrofe non si produca più. Nella loro follia omicida i nazisti hanno costruito molti campi di concentramento e hanno trovato diversi metodi per raggiungere il loro obiettivo, quello della «soluzione finale della questione ebraica». Uno tra questi, il complesso di Auschwitz-Birkenau, il più grande campo di concentramento e sterminio dove sono stati internati non solo ebrei, è diventato il simbolo della tragedia della Shoah.

I racconti dei sopravvissuti, dei soldati delle truppe alleate giunti ai campi, i campi stessi, il processo di Norimberga, quello di Adolph Eichmann e tante altre testimonianze non sono riusciti a sradicare completamente la piaga del negazionismo in Europa e altrove. Uomini come lo storico britannico David Irving, l’americano Willis Carto, il filosofo e scrittore francese Roger Garaudy o il saggista Robert Faurisson, anche lui francese, hanno sostenuto tesi revisioniste, negazioniste e antisemite. E queste tesi non vivono soltanto nella mente di un gruppo di intellettuali e dei loro seguaci. Dal suo arrivo al potere nel 2013, l’attuale presidente iraniano Hassan Rohani ha cercato di distinguersi dalle posizioni negazioniste del suo predecessore Mahmoud Ahmadinejad, riconoscendo l’esistenza della Shoah come «un evento storico». Tuttavia, il presidente, che in questi giorni viene ricevuto con tutti gli onori nelle capitali europee, non si è espresso a proposito della nuova edizione del concorso di vignette negazioniste della Shoah. Organizzato dalla Municipalità di Teheran, il concorso, giunto all’undicesima edizione, è previsto per il mese di giugno ed è aperto ai disegnatori di tutto il mondo, inviati a inviare disegni che sminuiscono, negano o mettono persino in ridicolo lo sterminio nazista. All’evento dovrebbero partecipare vignettisti di circa 50 Paesi.

Le lezioni del passato dovrebbe spingere i governanti europei a moltiplicare la vigilanza su un tema così sensibile, proprio in questo momento. L’Unesco ha trasmesso una protesta al governo iraniano a proposito del concorso ma agli ebrei europei e in particolari francesi, che guardano con molta preoccupazione il montare dell’antisemitismo, il gesto di disapprovazione non basterà per essere tranquilli.

L’Osservatorio dell’Antisemitismo conferma il sentimento degli ebrei europei. In molti Paesi del Vecchio Continente, i pregiudizi non sono scomparsi e le violenze continuano ad aumentare. Accanto all’antisemitismo di vecchio stampo, cresce e se ne sviluppa uno nuovo, risultato di un «incrocio» tra ebraismo in quanto religione e l’esistenza stessa dello Stato d’Israele. Le tensioni create dal conflitto israelo-palestinese trovano un terreno fertile nelle periferie parigine o di altre città francesi. Ma anche l’antisemitismo «classico» trova nell’attuale conflitto una ragione per rispolverare antichi preconcetti. Ed è così che settantuno anni dopo la liberazione di Auschwitz ci sono ebrei in Europa che temono per il proprio avvenire. I seminatori di odio sono purtroppo sempre all’opera.

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