Governo, lotta
contro il tempo

La prima giornata del secondo round di colloqui al Quirinale ha confermato che restano ancora i problemi che ostacolano la formazione di una maggioranza e di un governo. Semmai questa difficoltà si è resa più acuta per il contesto internazionale della crisi dei rapporti tra Usa e Russia nel quadro siriano e medio-orientale, che richiederebbe al più presto un governo nella pienezza dei propri poteri: un Paese Nato al centro del Mediterraneo dove stazionano forze armate dell’Alleanza e degli Stati Uniti non può, di fronte ad una crisi, mettere un cartello sul portone di Palazzo Chigi «chiuso per inventario».

Di questa urgenza Mattarella si è fatto interprete pressante con i partiti richiamandoli al senso di responsabilità. E anche alla chiarezza, dal momento che delle forze che hanno vinto, sia pure parzialmente, le elezioni non è chiarissimo l’orientamento in politica estera: anzi, le inclinazioni pro-Putin della Lega e, in parte attenuate, del M5S, spingono alla diffidenza e al sospetto i nostri maggiori partner da una sponda all’altra dell’Atlantico. Ma resta il fatto che questi partiti non riescono ancora a comporre il quadro. Quando in queste ultime quarantotto ore si scriveva: è in avvicinamento l’intesa tra Lega e Cinque Stelle, si aggiungeva: c’è solo da risolvere la questione Berlusconi e quella di chi guida il governo. Come se fossero questioni secondarie. Viceversa, sono tuttora motivi di un disaccordo ancora irrisolti. A cominciare dal ruolo e dal peso del leader di Forza Italia e del suo partito: Di Maio non lo vuole in maggioranza, nemmeno come appoggio esterno, figuriamoci al governo con suoi ministri, e spinge Salvini ad «affrancarsi» dal Cavaliere (quanto alla Meloni, curiosamente non viene mai citata). Salvini traccheggia, da una parte dice no ai veti, dall’altra insiste per stringere un’alleanza coi cinquestellati; da una parte si proclama leader di una coalizione del 37 per cento, dall’altra tratta e si muove come capo di una Lega al 17: insomma, prende tempo e aspetta che arrivino le elezioni in Friuli che gli dovrebbero garantire più peso contrattuale con Berlusconi.

Di fronte a questo tipo di strettoia, ieri il Cavaliere ha reagito da par suo, con un show al Quirinale apparso a tutti come un attacco durissimo al movimento di Di Maio che non sarebbe composto da «veri democratici». I pentastellati se la sono presa e hanno rimproverato a Salvini le sue esitazioni costringendolo a prendere le distanze dall’alleato. E questo è il motivo principale dello stallo, senza contare che non è stata affatto rimossa la richiesta non negoziabile da parte di Di Maio di avere per sé la presidenza del Consiglio. In questo contesto, e con l’urgenza internazionale, ci si sforza di capire cosa farà oggi Mattarella quando uscirà a parlare con i giornalisti al termine dei colloqui. Potrebbe affidare un pre-incarico a Di Maio o a Salvini (ma nessuno dei due lo vuole, temendo di muoversi al buio e quindi di bruciare la propria candidatura); oppure potrebbe incaricare un terzo soggetto (il leghista Giorgetti? Il giudice costituzionale Flick?) o ancora potrebbe chiedere al presidente del Senato Casellati di «esplorare» la situazione senza impegnare il Presidente della Repubblica. Ciascuna di queste soluzioni ha però le sue controindicazioni e costringe tutti gli attori su un terreno minato. La verità è che serve tempo, ma non ce n’è più come dieci giorni fa: ora c’è da sbrigarsi. Forse in questa chiave si è osservata una certa differenza nei toni da parte del Pd che è sembrato più incline a rientrare in gioco sia pure senza abbandonare la linea dell’alternatività a Lega e Cinque Stelle. Vedremo se e come l’iniziativa di Mattarella potrà privilegiare gli aspetti costruttivi di una trattativa per il momento condotta all’insegna dell’esclusivo interesse di parte.

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