Grecia, con quel no
sfida tutta politica

«Apriamo la strada per tutti i popoli d’Europa. Oggi la democrazia batte la paura». Le parole di Alexis Tsipras lasciano intendere che la vittoria dei «no» è una sfida all’Europa di Angela Merkel. Così l’hanno interpretata gli elettori greci e questo spiega i festeggiamenti che sono seguiti alla vittoria referendaria del governo di Syriza. È stato il referendum dell’orgoglio nazionale. La maggioranza dei greci si è ritrovata unita nel bocciare le proposte di austerità.

La Commissione europea, il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea con le loro politiche hanno portato il Paese in questi ultimi cinque anni alla miseria, una condizione da Paese in guerra. È questo il sentimento che è prevalso, anche se la ragione dice che il futuro è plumbeo. Da festeggiare c’è ben poco. Oggi la Grecia è in default. E anche se il governo di Atene dice di voler iniziare subito le trattative con i creditori, è difficile che a Bruxelles siano pronti a far ripartire il dialogo dopo essere stati qualificati dal ministro delle finanze ellenico Varoufakis come terroristi. Anche i rapporti umani hanno il loro peso in politica. Ma l’euforia della vittoria fa credere ai governanti greci di poter dettare i tempi delle trattative.

La verità è che se la Bce chiude i rubinetti per le banche greche, anche i 60 euro che potevano essere ritirati in questi giorni dai pensionati verranno meno, e di fatto ci sarà bisogno temporaneamente di una nuova moneta circolante. L’ulteriore povertà e disperazione che ne seguiranno, Tsipras e soci sono già pronti a scaricarla su Bruxelles e Berlino indicando al pubblico ludibrio gli affamatori del popolo. La carta greca è politica e ad Atene intendono giocarla fino in fondo. Non hanno alternative. Nelle capitali europee non si può essere insensibili all’impatto che la vittoria dei «no» ha sui rispettivi elettorati euroscettici e europopulisti. In ogni Paese dell’Unione la sfiducia verso la costruzione europea aumenta e i governi in carica temono di essere scavalcati.

Una Grecia in bancarotta può portare a gesti disperati. Russia e Cina possono diventare partner possibili per chi si sente tradito dai suoi alleati tradizionali. L’avversione all’Europa in formato tedesco è a tal punto cresciuta da rendere addirittura auspicabile in alcune forze politiche un accordo con la Turchia. E in tal senso Ankara ha già fatto sapere di essere disposta ad aiutare il governo di Atene. Insomma, sul miele greco si stanno già buttando tutti quelli che hanno un conto aperto con l’Occidente e l’Europa. Per non parlare del terrorismo che, in una Grecia delusa dall’insensibilità dei creditori e costretta alla miseria umana cui è, potrebbe trovare se non accoglienza, quanto meno condiscendenza.

Quindi la questione greca è ben lungi dall’essere solo un caso economico. Ed è questa la lezione che viene impartita all’Europa della cosiddetta austerità.Non aver tenuto conto delle sensibilità nazionali, delle tradizioni, della sostenibilità dei sacrifici. Come poteva il contadino greco votare «sì» quando una delle condizioni imposte era il pagamento dell’Iva al 23% in un Paese dove da secoli le tasse in agricoltura non si pagano ? Come poteva votare «sì» all’Europa e «no» al proprio governo una famiglia che statisticamente ha tra i suoi membri almeno un disoccupato, un licenziato, un pensionato con la pensione dimezzata?

L’euro è nato per rendere tutte le economie dei Paesi membri assimilabili alla nazione guida, alla Germania. I fatti dimostrano che almeno in Grecia non ha funzionato. Adesso, sull’onda della vittoria, Alexis Tsipras e il suo partito vogliono rovesciare il modello. Da oggi tutti noi dovremmo in Europa diventare un po’ più greci. Difficile che ci riescano.

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