I colonnelli di Salvini
e l’ultimatum al governo

Ai tanti dossier aperti da un governo in bilico fra crisi o rimpasto, quello sull’autonomia differenziata è un’altra mina vagante alla vigilia dell’informativa del premier in Senato sul Russiagate e mentre la base leghista lombardo-veneta dà segni d’impazienza verso gli alleati grillini. Ieri i due potenti governatori, Fontana e Zaia, hanno risposto per lettera all’appello lanciato da Conte ai cittadini delle due Regioni, pubblicato da alcuni giornali. Fontana e Zaia, pur restando aperti al dialogo, non indietreggiano rispetto al cannoneggiamento nato dallo stop dei Cinquestelle alle assunzioni dirette degli insegnanti da parte delle singole Regioni, che svuoterebbe quasi del tutto il capitolo istruzione.

I due presidenti ribadiscono che non firmeranno l’intesa sull’autonomia «se si continua con una farsa», cioè con un «accordo senza qualità come quello che per ora si sta profilando». Quindi, «autonomia vera, non un pannicello caldo». Il tono verso il capo del governo appare ultimativo: «Lei ha l’opportunità di scrivere una pagina di storia di questa Repubblica. Se non la scriverà lei, lo farà qualcun altro». Nella lettera non compare la parola «cialtroni» – ribadita dal solitamente misurato Fontana contro gli avversari dell’autonomia in un’intervista di ieri al «Sole 24 Ore» –, ma si affrontano ugualmente gli aspetti più controversi. E cioè: «Nessuno vuole aggredire l’unità nazionale, nessuno vuole secessioni», «non si chiedono più risorse, ma semplicemente la possibilità di spendere in autonomia quelle che ci sono già assegnate».

In sintesi: fedeli al dettato costituzionale con l’obiettivo di semplificare la vita di tutti. Il punto di partenza, dopo il referendum in Lombardia e Veneto, riguarda la richiesta di avere competenza rispettivamente su 20 e 23 materie. Del gruppo fa parte anche l’Emilia-Romagna di centrosinistra, che è su posizioni più consensuali: non chiede 23 materie e all’interno delle 15 a cui punta definisce funzioni per gestire meglio rigenerazione urbana, sicurezza, rifiuti, sanità. Ci sono margini di manovra dell’ultima ora? Era un Conte nero per gli insulti «inaccettabili» ricevuti, quello che ha firmato la lettera che ha aperto il dibattito, lasciando intendere che, anche per evitare la scure della Corte costituzionale, si tratta di costruire un percorso che non danneggi il Sud pur dando ascolto alle legittime istanze del Nord. Se l’intento è «offrire vantaggi reali, sostenibili nel tempo» alle Regioni coinvolte, l’approdo ha confini precisi: «Se non potremo accogliere per intero tutte le richieste che ci sono pervenute e non potremo trasferire in blocco tutte le materie che ci sono state indicate, non sarà per insensibilità nei vostri confronti». Il termine che non viene evocato è «secessione dei ricchi», irricevibile per gli autonomisti, accusa rivolta da più parti e, sul piano del merito, sostenuta da meridionalisti del peso di Gianfranco Viesti: l’economista, sulla rivista «Il Mulino», scrive che «l’Italia di oggi è teatro di una lotta sorda e sotterranea per spartirsi i residui delle risorse pubbliche» e definisce l’autonomia differenziata un «processo distruttivo», rappresentando «una radicale revisione di come funziona l’Italia».

Fontana e Zaia si appellano al passaggio referendario, il cui seguito è rimasto piuttosto sotto traccia nel dibattito pubblico. Lo stesso Salvini non sempre è parso attivo su questo tema che può apparire in contraddizione con la nuova Lega «nazionale», il cui tratto identitario, in questa fase, è fornito dalla flat tax. In realtà i due governatori, che intercettano i malumori dell’anima storica lombardo-veneta, hanno aperto il fuoco contro Conte dando l’impressione di voler incoraggiare e spingere Salvini a staccare la spina. Del resto lo stesso Capitano non prende le distanze dai suoi colonnelli e questo può significare che manda avanti i governatori al suo posto.

Al netto di tutto ciò che può succedere in questa settimana, a partire dal Russiagate, qualcosa è mutato non solo nei rapporti di forza fra i due soci del contratto di governo, ma nella natura stessa dell’esecutivo nel momento in cui Salvini è costretto a difendersi e dopo aver perso la battaglia in Europa. La novità è data dal protagonismo di Conte, che, pur formalmente senza una forza politica propria alle spalle, da una posizione «terza» rispetto ai due litiganti s’è intestato un più attivo coinvolgimento giocando di sponda con i Cinquestelle e contro Salvini su tutte le principali questioni: fisco, Europa, fino alla sconfessione del leader leghista («scorrettezza istituzionale») che aveva convocato al Viminale le parti sociali. Impegnato, per quanto tardivamente e in attesa di vedere se ne ha la forza politica, a mettere in campo il ruolo di capo del governo.

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