I migranti come merce
di scambio col sultano

Lo hanno chiamato l’accordo ponte. Ma già il titolo è una beffa semantica, perché è un ponte che non mette in comunicazione alcunché. Da una parte c’è l’Unione europea e dall’altra la Turchia. Un ponte dovrebbero essere il modo e il metodo che permette di lavorare insieme. Invece l’accordo siglato l’altra notte a Bruxelles ha trasformato la questione dei migranti in una sorta di mercato con le persone che vengono utilizzate come merce di scambio per arginare le paure e ridar fiato al sultano.

La decisione di spostare sulla Turchia le proprie responsabilità toglie ogni valore alle norme che tutelano i diritti umani sulle quali è stata costruita l’idea stessa di Unione. L’Europa sta morendo a Idomeni e nessuno lo impedisce. Ha vinto la fabbrica della paura, la sindrome dell’invasione, il turboegoismo delle diseguaglianze che presiedono ogni governace europea delicata. Bisogna leggerlo bene l’accordo dell’altra notte per capirne la logica aberrante. Ma occorre partire da un numero che ne costituisce la premessa: 10 Paesi su 26 hanno introdotto restrizione a Schengen, il pilastro della libera circolazione sul quale si è costruito il senso comune europeo di appartenenza. Schengen è infatti molto di più di una soluzione tecnica. Schengen è l’Europa, esattamente come la moneta unica, è davvero l’unico e, purtroppo, ora l’ultimo ponte.

Non sono stati sufficienti neppure gli appelli al vantaggio della generosità, che vari economisti e la stessa Commissione hanno lanciato sull’impatto economico positivo delle migrazioni, che genererebbero una crescita stimata tra lo 0,2 e lo 0,3% del Pil europeo. Ha prevalso l’ansia della paura e così invece di pochi euro per accogliere i migranti Bruxelles ha deciso di spendere miliardi di euro per respingerli, sprofondando l’Unione nel più catastrofico fallimento. Perché le migrazioni non si fermano con i soldi, i migranti non sono pacchi da spostare secondo logiche di convenienza politica e di mercato. I migranti semplicemente prenderanno altre rotte.

L’accordo dell’altra notte solo apparentemente mette al riparo l’Europa. È costruito sul non senso formale della creazione di un canale legale di emigrazione verso l’Europa. In pratica si apre un canale di immigrazione al contrario per cui ogni persona viene respinta in Turchia, dove finisce in un campo profughi. Da qui poi, sulla base di regole definite, può chiedere di entrare in Europa, secondo le quote e i ricollocamenti previsti. Ecco la ragione di tre miliardi già dati ad Erdogan e altri tre promessi, se fa il bravo. La logica che sovrintende all’accordo è quella della deportazione ed è tutto da vedere se migliaia di migranti persi attualmente tra le isole dell’Egeo, Idomeni e la rotta balcanica l’accettino senza batter cigno o più probabilmente si ribelleranno.

Ma Bruxelles ha preferito nascondersi dietro titoli gentili come quello di accordo ponte e spiegare che in questo modo si crea un canale legale di accesso all’Unione. La Turchia è felice dell’accordo, che le assegna il ruolo strategico di scudiere europeo e magari riesce perfino a scaricare nel canale legale verso l’Europa un quota di curdi. Per le opinioni pubbliche europee prede della paura e per i leader europei anti-europeisti, dalla Polonia all’Ungheria alla Danimarca, e per i movimenti xenofobi traversali, l’accordo è altrettanto perfetto perché dissimula, senza scalfirla, la logica del muro. In realtà è solo un grande inganno, un trucco che aumenterà le sofferenze e la miseria, perché le migrazioni non si possono fermare, ma solo governare con la giustizia, la pace e l’uguaglianza.

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