I partiti in balia
del pasticcio elettorale

La nuova legge elettorale, come insegna un proverbio inglese, è come il budino: per capire se è buono, bisogna assaggiarlo, ma questi mesi di preparazione indicano già alcune novità forse non calcolate dai suoi autori, che spiegano un affanno insolito, perché riguarda non solo peones ed esclusi predestinati, ma anche leader importanti. Il Rosatellum bis si presenta con un indice di incertezza sui risultati individuali sconosciuto sia al Mattarellum che al Porcellum. Il mix, senza scorporo, tra maggioritario e proporzionale rende infatti le previsioni molto difficili in quasi tutte le regioni, spiazzando anche i sondaggisti che fanno calcoli ora avventurosi, per un rapporto tra domanda e offerta molto cambiato, e per di più ancora non definito. Le rinunce, ad esempio, di Alfano e Pisapia sono sì nobilmente politiche, ma derivano anche dal calcolo della difficoltà di sopravvivere a questa incertezza.

Non era così con il Mattarellum, la legge bipolarista dei cosiddetti collegi sicuri: potevi sapere a tavolino, prima del voto, gli eletti certi del 90% dei collegi. Con quel sistema, Alfano sarebbe rimasto in campo, perché un collegio e un ripescaggio si potevano ancora programmare. Ora è tutto più vago. Difficile dire dove l’elezione è davvero assicurata, cosa di per sé democraticamente anche positiva. C’è il paracadute proporzionale, ma il tripolarismo cambia tutto. Come fanno i big a non presentarsi nel maggioritario, ma il problema è: dove, per stare tranquilli? Secondo i sondaggisti, il Nord è precluso al centrosinistra ma può un partito di governo come il Pd non vincere mai nei collegi del Nord più avanzato? I 5Stelle ambiscono ad essere i primi nella percentuale, ma i loro candidati vetrina dove saranno eletti? I casi migliori, tipo Ostia o anche Livorno, possono ripetersi con dinamiche tanto diverse da quelle comunali?

Quanto al centrodestra, non è più Berlusconi grande più Lega piccola, c’è equilibrio, e l’aritmetica non è politica. Oltretutto, si tratta di recuperare un voto di astensione, molto diffuso nel 2013 nel centrodestra, ma un elettore moderato restato a casa perché deluso, tornerà oggi che Salvini è più condizionante e propone temi estremi? E se torna solo per riequilibrarlo, cosa accadrà, dopo le elezioni?

Insomma, gli interrogativi sono molti e molti anche gli equivoci. Il principale è quello che riguarda i candidati premier, non solo ignorati dalla legge, ma – in regime tripolarista con soglia al 40% – gli unici paradossalmente sicuri di «non» essere chiamati a Palazzo Chigi. Vale per Di Maio, che pure spende i voti ottenuti on line dai militanti, come se fossero già un invito al Quirinale. Vale ancor più con un Renzi o un mister ics di centrodestra che fossero costretti a governi di (magra) coalizione, magari fattibili, ma solo a condizione che non li guidi il capo di una campagna elettorale basata sul tutti contro tutti. Capi buoni per la battaglia, ma non per il Governo. L’altra grande incognita è appunto l’esito dato più probabile, e cioè l’impossibilità di formare una maggioranza di Governo. Se persino in Germania si rischia di dover tornare alle urne a breve termine, perché non in Italia, dopo una campagna che si preannuncia sanguinosa e che lascerà sul campo – per le ragioni di cui sopra – leader magari dimezzati da sconfitte al maggioritario o peggio ancora battuti negli scontri diretti di cui temerariamente si parla? Dovremo affidarci ad un’altra transumanza di parlamentari?

Insomma, alla fine, altro che candidati premier, potrebbero rivelarsi più lungimiranti gli assenti: i Di Battista, i Calenda, e forse anche i Pisapia di ritorno. Le riserve fresche potrebbero sostituire i titolari consunti per la partita vera, da giocare in autunno, ma il rischio è che nel frattempo sia l’Italia ad uscire sconfitta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA