I profughi e l’Europa
Chi mostra vera miseria?

Ieri era la giornata mondiale del rifugiato. La ricorrenza avrebbe dovuto suscitare qualche pudico imbarazzo e imporre almeno il dovere morale di evitare la retorica. Alla retorica dei diritti si concede molto nel tempo rarefatto delle proclamazioni, ma quegli stessi diritti divengono scomodi, ridimensionati, aggirati o «scaricati» quando prendono volto e peso di qualcuno che interpella la nostra concreta responsabilità.

Aveva pienamente ragione Simone Weil: «un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo corrispondente; l’adempimento effettivo di un diritto non viene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa […] Un diritto che non è riconosciuto da nessuno non vale molto».

La vicenda dei rifugiati, in questi giorni, produce molti discorsi e qualche confusione, anzi tutto terminologica. Non tutti i profughi che approdano sulle nostre coste sono rifugiati. Lo status di rifugiato è definito dalla convenzione Onu di Ginevra del 1951 che lo riferisce alla persona che «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale Paese». Il rifugiato è un perseguitato. Buona parte dei profughi però semplicemente scappa dalla povertà e dalla guerra (per questo è semplicistico pensare che la risposta a ogni problema sia la magica formula «aiutiamoli a casa loro»).

L’Unione Europea ha esteso la sua tutela anche a chi, pur non perseguitato, rischierebbe, se rimpatriato, di subire un danno grave, a causa di una situazione di violenza generalizzata e di conflitto. A queste persone è rivolta la cosiddetta protezione sussidiaria. Il richiedente asilo è colui che domanda una forma di protezione internazionale. E l’Ue, per armonizzare le diverse legislazioni nazionali in tema d’asilo, ha adottato il Regolamento di Dublino, il quale prevede che a esaminare la domanda sia lo Stato in cui il richiedente ha fatto ingresso nell’Unione. Ecco perché l’Italia, al pari di Malta e Grecia, si trova subissata di domande di protezione. Con il d.lgs. 18/2014 l’Italia ha attuato la direttiva 2011/95/UE relativa all’attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona bisognosa di protezione internazionale (sussidiaria). E l’art. 10 della Costituzione prevede che «lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Insomma, siamo nel campo del diritto e sono in gioco diritti, garantiti al massimo grado dell’ordinamento giuridico.

La normativa, internazionale e nazionale, ci mette spalle al muro: noi dobbiamo farci carico dei richiedenti asilo approdati in Europa soprattutto nelle nostre coste. Di fronte agli altri Governi europei che si appellano, in maniera interessata, alla rigida applicazione dei Trattati, l’Italia è tentata da una reazione fattuale, e cioè quella di concedere «distrattamente» una qualche libertà di movimento agli stranieri, prima della loro registrazione, nella speranza che, in modo più o meno avventuroso, questi raggiungano altri, più agognati, Paesi a cui richiedere la protezione. Insomma, una legislazione rigida favorisce uno scaricabarile in piena regola, che copre di miseria tragicomica l’Europa. La Lega irride Renzi che scopre, tardivamente, l’inaffidabilità dell’Europa e prospetta improbabili soluzioni unilaterali. Mi chiedo che peso negoziale o di deterrenza potrà mai avere il singolo Stato, che oltre tutto non ha grande potenza economica o militare, nei confronti di Stati, come quelli di imbarco, spesso squassati da guerre civili? La domanda vera è: quale Europa sta mostrando la sua miseria? L’Unione Europea che non funziona è il condominio rissoso dei Governi nazionali, ostaggi delle paure e delle miopie delle opinioni pubbliche nazionali.

La questione dei profughi è lo specchio dell’Europa: paralizzata dagli egoismi nazionali, si rivela incapace di governare i processi secondo un’idea, se non proprio un ideale, di bene comune. In questo quadro, l’Agenda della Commissione europea, e cioè dell’organo che dovrebbe incarnare la sovranazionalità dell’azione comunitaria e l’indipendenza dagli Stati membri, fa un passo nella direzione giusta, ma con troppe timidezze, fatiche e resistenze. Quello dei profughi è un tema che interpella il progetto europeo di società. Servono un adeguato bilancio comunitario e una classe politica comunitaria; serve insomma una federazione europea. L’alternativa non è una ridicola gestione nazionale delle migrazioni, ma il caos internazionale e la tragedia umanitaria.

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