Il cambiamento?
Anche fin troppo

Ci avevano promesso il governo del cambiamento e cambiamento è stato, fin troppo. Dall’insediamento di Conte, anzi fin dall’avvio delle trattative per l’individuazione di una maggioranza, non c’è stata tregua. Abbiamo assistito a un accavallarsi ininterrotto di novità, di cambi di scenario, di colpi di scena. Un cambiamento convulso e anche confuso, non sempre in linea con le promesse. Si è cominciato con la stesura del contratto. Non era nell’ordine delle cose che Lega e M5S si accordassero. In campagna elettorale, anzi, se l’erano date di santa ragione.

Essi stessi erano così convinti di essere poco credibili come alleati che si sono nascosti dietro lo schermo del contratto: proprio quella forma di accordo appropriato per due che sanno di avere interessi contrastanti, com’è nel caso del venditore e del compratore che col contratto fissano le condizioni della transazione per tutelarsi da brutte sorprese. Siglata l’alleanza, altro cambiamento. I due alfieri del populismo sono sembrati procedere così d’amore e d’accordo che si è parlato di un loro prossimo matrimonio. Obiettivo: formare un unico partito, con evidenti ambizioni maggioritarie e buone possibilità di durare a lungo. Insomma, un partito dominante com’è stata la Dc. Tempo di convocare gli elettori per il turno amministrativo di primavera e cambia lo scenario. Si scopre che il centrodestra (altra novità, ora è a trazione leghista) risulta più vivo e vegeto che mai. Insomma, Salvini ha altro per la testa che unirsi indissolubilmente a Di Maio. Se prendesse forma una destra di nuovo conio, il risultato sarebbe che torneremmo a un bipolarismo giocato tra il polo di Lega, Fi e FdI e una forza alternativa: forse la sinistra prossima ventura, di cui però non si vedono ancora le tracce.

Quarto cambiamento. Il contratto non traccia un piano d’azione. Si limita ad assemblare, con una sorta di copia e incolla, i punti salienti dei programmi dei due contraenti. Un cambiamento di procedura cui si è aggiunto un cambiamento anche di sostanza rispetto alla prassi consolidata di ogni normale democrazia.. Il programma di governo dovrebbe indicare non solo cosa si intende fare ma anche con quali risorse. È stato allora che è circolata la voce della richiesta di un azzeramento di 250 miliardi di debito pubblico in carico alla Bce, cui ha fatto seguito l’indiscrezione di un piano B preparato per uscire dall’euro. Tutto falso: è fresca di stampa la smentita. Proprio chi fu l’autore dello scandalo, il professor Paolo Savona, ha precisato che non aveva mai pensato ad un piano B: lui anzi sarebbe sempre stato uno strenuo difensore del piano A, ossia della nostra permanenza nell’euro.

Cambiano gli uomini (a un sospetto euroscettico come Savona è succeduto un sostenitore dell’euro, Giovanni Tria), resta però il programma, con tutti i cambiamenti sconvolgenti che comporterebbe se attuato. Realizzando il reddito di cittadinanza e la flat tax ci si chiede come si eviterebbe l’esplosione del debito, dove si troverebbero le risorse necessarie, stante peraltro la prospettiva della prossima fine del sostegno garantito sinora da Draghi col quantitative easing. Ultimo cambiamento, questo del tutto imprevisto e non proprio salutare per il governo: l’arresto di Luca Lanzalone, presidente di Acea, la grande municipalizzata di Roma, che a quel posto è stato voluto, non si sa se dalla sindaca Raggi o dai ministri Bonafede e Fraccaro, se non addirittura da Di Mario, ma comunque sempre dai Cinquestelle. Certo, non un toccasana per chi ha sempre gridato onestà onestà. In tutto questo bailamme l’unico che il cambiamento lo sta facendo in perfetta linea di coerenza con il programma elettorale, e con grande profitto politico, è Salvini, comandante in capo della flotta anti-immigrazione. Non possiamo lamentarci che manchi il cambiamento. Ce n’è fin troppo, non tutto però in linea con quanto promesso. Ma - si sa - quanto più generose sono le aspettative di cambiamento tanto maggiori sono le sorprese che ci aspettano.

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