Il caso Italcementi
e l’ecologia umana
Sono convinto che quanto deciso alcuni giorni fa è la logica conseguenza di una strategia di espansione del gruppo all’estero perseguita attraverso operazioni cruciali come l’acquisto di Gillingham Portland negli Usa nel 1987 e di Ciments Français nel 1992. La stessa riorganizzazione, razionalizzazione e dimensionamento del gruppo faceva intuire l’avvio di un nuovo processo di assestamento e di collocazione. Era abbastanza chiaro, anche osservando quanto succedeva a livello internazionale nel settore del cemento , che l’Italcementi non poteva restare bergamasca. Per chi conosce la storia dell’industria bergamasca questo poteva che creare turbamenti, perplessità, incertezze e inquietudini.
Ci dobbiamo rendere conto che siamo entrati in quella che è stata definita la Seconda Globalizzazione che a differenza della prima - che si fondava principalmente sulle delocalizzazioni produttive - è orientata alla creazione di grandi gruppi continentali e mondiali in cui ciò che conta è la capacità di competere alla pari con altre imprese della stessa dimensione. La nuova globalizzazione impone nuove scale dimensionali sul piano finanziario, patrimoniale, logistico, produttivo e tecnologico per potere stare dentro un mercato sempre più esteso e complesso. L’Italcementi non diventa tedesca, come si è scritto da più parti, ma continentale e europea e pertanto capace di competere nel mondo e rende la finanziaria (Italmobiliare) della famiglia Pesenti il primo socio del secondo gruppo cementiero del mondo.
L’attitudine della Seconda globalizzazione va in questa direzione e se le nostre grandi imprese si coinvolgono, la questione non è affrontabile con schemi nazionalistici. Il vero problema su cui interrogarci è quale «strategia Paese» vuole sviluppare in questo contesto la politica italiana. Questa è a mio parere è la vera questione su cui però si discute troppo poco. Invece dell’italianità o della bergamaschità, quello che ci dovrebbe preoccupare è non avere chiaro se dietro a queste operazioni che incideranno sul futuro economico, industriale e manifatturiero dell’Italia, esiste una strategia politica. In questi tempi si discute di molte cose, alcune serie altre un poco meno, anche se la tendenza è a racchiudere il tutto sotto il termine di riforma.
Il valore simbolico di questa operazione è in ogni caso enorme. Si tratta di un gruppo che è parte dell’ossatura del sistema economico italiano e lombardo, o se si preferisce bergamasco. In ogni caso, con i molti soldi che incasserà, spero che Pesenti non si allinei a quello che già stanno facendo gli eredi di altre dinastie storiche italiane, ossia i finanzieri. Ma che resti ancorato alla vocazione industriale della famiglia, magari investendo su settori capaci di incentivare l’innovazione del nostro sistema industriale e manifatturiero. Oggi più di ieri gli imprenditori sono chiamati a giocare un grande ruolo sociale a cui non possono sottrarsi, non si tratta di auspicare come si è fatto nel caso Alitalia l’intervento di «capitani coraggiosi» che poi non lo sono stati, ma una nuova attenzione all’accrescimento delle potenzialità e creatività di un territorio. La nuova globalizzazione chiede si facciano processi di accorpamento per potere competere a livello mondiale, ma nello stesso tempo chiede una nuova valorizzazione del locale e delle sue potenzialità.
La vicenda Italcementi ci obbliga a riflettere su come si attrezza la nostra comunità per vivere dentro i nuovi processi dell’economia. Dove sperimentare nuove forme di economia sociale, di non profit, di cura e di credito. Da questo punto di vista bisognerebbe che la proposta di Legge sul Terzo Settore venga approvata in fretta. Nello stesso tempo si pensi allo sviluppo del settore del commercio di prossimità , all’equo e solidale, ad aumentare la capacità di connessione dei gruppi di azione sociale dal basso, e segnatamente del volontariato, della cooperazione internazionale e del governo reale dei processi migratori. Mentre la realtà industriale che ha segnato la storia del territorio, del lavoro e della vita delle persone subisce una metamorfosi profonda e delle trasformazioni epocali, si ha il dovere di rendere il nostro un territorio più attrattivo per gli investimenti e questo passa attraverso una valorizzazione della risorsa umana in termini di conoscenza e competenze e di servizi, ma anche di una realtà sociale più coesa, partecipativa e responsabile.
Dobbiamo iniziare a pensare il territorio non come oggetto di utilizzazione e di sfruttamento, ma come «ambiente di relazioni», luogo della solidarietà, in cui si opera per la conservazione del patrimonio sociale, culturale, paesaggistico e che germina innovazione e creatività. Dobbiamo stare dentro i processi che mutano la nostra realtà, senza nostalgie e timori. Si deve puntare, recuperando l’indicazione di Papa Francesco contenuta nella «Laudato si», a un percorso di ecologia umana che può essere fonte di nuovo lavoro. E soprattutto di sviluppo della persona.
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