Il clima malato
e le azioni necessarie

«Nell’evoluzione non c’è scelta». Un paio di sere fa, allo storico Teatro Filodrammatici di Treviglio, sul palcoscenico c’era un uomo. Semplice e straordinario. Lo hanno chiamato Manolo (nella vita di tutti i giorni fa nome Maurizio Zanolla, bellunese doc), ma di così esotico non ha proprio nulla. In un emozionante racconto di vita vissuta in relazione strettissima e profonda con la natura circostante, ha ripetuto più volte questa frase: «Nell’evoluzione non c’è scelta».

Cosa può c’entrare questa citazione se, come in questo caso, ci troviamo (ormai quotidianamente, per fortuna) a parlare di cambiamenti climatici che interessano il nostro Pianeta e qualità dell’aria, che tanto condiziona il nostro territorio, abbandonando la convinzione (meglio dire, la presunzione) che il primo sia un fenomeno lontano almeno un continente ed il secondo sia un problema facilmente superabile con un po’ di pioggia od una provvidenziale giornata di vento? C’entra eccome. E soprattutto centra il cuore dei problemi ambientali del nostro tempo.

E il nostro tempo è quello della consapevolezza che questi problemi esistono in concreto. Che le loro cause esistono in concreto e hanno molto a che fare con i nostri comportamenti ed il nostro stile di vita. E che le loro conseguenze evolvono con una rapidità che impone l’azione come unica soluzione. Nell’evoluzione, appunto, non c’è scelta, se non quella di agire. Spesso citato a gran proposito è pure George Marshall, attivista di punta della cultura e dell’informazione sui cambiamenti climatici. Marshall fa un capolavoro di sintesi quando afferma che il cambiamento climatico è «il crimine perfetto e non rilevabile al quale tutti contribuiscono ma per il quale nessuno ha un movente». Abbiamo vissuto con molto ottimismo, questo è il fatto. Forse troppo. Certamente su questi temi. Vivendoli lontani da noi (nonostante alcuni siano decisamente influenti sulla nostra qualità quotidiana della vita), proprio perché viviamo ogni giorno difendendo strenuamente stili di vita che preferiamo non modificare. Eppure nell’evoluzione, nei fatti, non c’è scelta. Nell’evoluzione bisogna essere capaci di cambiare ed essere aperti al cambiamento. Può sembrare paradossale, ma non lo è per niente: l’ambiente ci richiama alla necessità del cambiamento proprio mostrandoci cambiamenti a volte repentini e violenti. Sull’ottimismo ambientale sono trascorsi decenni che hanno modificato poco e spesso addirittura prolungato nel tempo i nostri stili di vita. E così prende fiato l’ultimo recentissimo allarme Onu, che ci riporta come il 2016 sia stato nei numeri un anno nerissimo per la CO2, quando il 2015 si era già chiuso con il triste primato di anno pessimo per le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera.

Per un altro verso, percorrendo città e centri abitati di molta parte del nostro territorio, è storia di questi giorni (con perfetta regolarità da un anno all’altro) che i nostri territori sono una frontiera che faticosamente prova a contrastare gli effetti di inquinamento dell’aria (non più la CO2 che influisce sul clima, ma inquinanti che guastano la qualità dell’aria, con effetti più evidenti nelle città e nelle aree più urbanizzate) e resi ancora più pesanti da un autunno che prolunga la lunga e diffusa siccità dell’estate. Sulla qualità dell’aria delle nostre città conserviamo il pigro ottimismo di chi rimane convinto che la pioggia o il vento faranno prima o poi quello che devono, abbassando i valori delle concentrazioni. Come se questo tipo di inquinamento fosse davvero un fatto stagionale, quasi occasionale.

Tra una settimana è la volta di Bonn che, dopo l’Accordo di Parigi, ospita la nuova Conferenza Onu sul Cambiamento climatico. Ma in realtà, superando l’ottimismo del passato e osservando i danni di resistenza al cambiamento che ha generato, l’appuntamento è quotidiano. In strade, uffici, scuole, abitazioni. Abbiamo bisogno di un nuovo linguaggio per una nuova cultura. Il linguaggio delle urgenze ambientali ha bisogno di realismo. I temi ambientali sono l’ultima vera grande occasione di un movimento culturale di massa. Perché l’evoluzione progressiva dei fenomeni è già e sarà sempre più determinante nel condizionare la scelta degli individui e delle comunità di spostarsi (in cerca di abitazione o di cibo, per esempio). Perché nell’evoluzione, appunto, non c’è scelta. Se non quella di diventare consapevoli e di agire. La consapevolezza che questi problemi appartengono tanto al nostro tempo di vita quanto alla nostra responsabilità rispetto ad un futuro che l’evoluzione appunto rende sempre più vicino. Scegliere e non ottimisticamente rimandare le scelte, convinti che «andrà meglio, vedrai».

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