Il mondo in balìa
della post verità

Potrebbe diventare una parola-chiave del nostro tempo liquido: post-verità, indicando con questo termine il superamento, l’abbandono del racconto obiettivo dei fatti a vantaggio degli appelli emotivi. Un’overdose di emozioni per ripararci da un mondo indesiderato e che fatichiamo a leggere, tant’è che le neuroscienze e la psicologia collettiva stanno soccorrendo la politica che da sola non ce la fa più. Così, almeno, hanno deciso gli studiosi dell’Oxford Dictionary, un’autorità in materia, probabilmente sull’onda dei risultati delle più incredibili elezioni della storia recente: la Brexit e Trump.

C’è in giro, insomma, una gran voglia di raccontar frottole e di digerire qualsiasi panzana messa sul mercato da imbonitori di varia natura, populisti di ogni genere e apprendisti stregoni con la complicità di una Rete senza filtri e gerarchia informativa. Pur segnalando che obiettività e verità sono concetti aerei multiuso e addomesticabili, comunque di discutibile definizione, l’imprimatur oxfordiano della parola internazionale dell’anno dice un pezzo di verità che merita un po’ di attenzione: c’è chi le spara grosse ad uso di un pubblico docile che chiede quel tipo di lessico.

In fondo Trump, in alcune fasi della campagna elettorale, non solo ha mentito, ma s’è detto pure ben lieto di averlo fatto. Il nuovo mondo, sapendo in ogni caso di non avere gli strumenti adatti per spiegarlo, lo possiamo raccontare in tanti modi. Non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che è virale. Oppure, come diceva Totò, la verità a prescindere. Il grande Montanelli, con un’elegante difesa della categoria, diceva che i giornalisti sono maestri del verosimile. Qui, però, siamo oltre, siamo già al «dopo» come suggeriscono gli studiosi inglesi: la verità (in senso del tutto relativo) come optional, come qualcosa di cui si può fare a meno. La mobilitazione dei sentimenti, spesso negativi, e delle emozioni prevale sugli argomenti razionali, possibilmente dotati di un minimo di conoscenza, e costruisce una realtà fai-da-te in cammino verso uno spazio dove quasi tutto è un tanto al chilo.

Una tendenza - spinta dalla rivoluzione dei media e dalla combinazione con la videopolitica - manovrata da grandi semplificatori che vendono certezze senza scampo e che si muove da tempo come un fenomeno carsico. La differenza rispetto a ieri è che, una volta sdoganata, è accettata come naturale ed autoevidente, rivendicando l’innocenza del non sapere come estrema risorsa di libertà rispetto al potere costituito: ciò che in Rete funziona subito conta più di quel che convince attraverso un ragionamento. In questi anni Ipsos ha svolto sondaggi in diversi Paesi, riscontrando come sempre più spesso le opinioni si basino in buona parte non sulla realtà, ma sulla percezione, sul modo in cui il cittadino rappresenta a se stesso la realtà vissuta. Il risultato è che si tende ad amplificare la portata dei problemi, specie di quelli più sensibili ed esposti agli allarmi sociali. In questo modo i fegatosi semplificatori, i capipopolo «che ci sanno fare», gli imprenditori politici della paura incontrano la gloria del momento. Già anni fa, ancor prima dell’esplosione di internet, il politologo Giovanni Sartori in un suo celebre saggio spiegava che il popolo dell’età dei media finisce per essere un insieme di individui fabbricato dai media: «La videopolitica produce un crescendo di partecipazione emotiva, mobilitata da emozioni, in condizioni di decrescente e impoverita informazione».

Colpisce che nell’ipermodernità tecnologica e dell’informazione totale, tornino in campo le suggestioni dei miti, dei riti, dei simboli come nell’antichità classica. Il mito non concepisce concorrenti, perché non si muove nel reale e non ha la pretesa di rappresentare una qualsiasi condizione verificabile: non può essere contraddetto, dato che è esente dall’essere provato. Non subisce l’usura del tempo: il suo perdurare, anzi, ne dimostra la credibilità, la presunzione di verità assoluta. La sua forza suggestiva, la sua connessione sentimentale sta nella favola che viene tramandata, nell’essere continuamente ripetuta, nella disponibilità ad essere recepita come una credenza, in un viaggio verso l’ignoto dove l’orizzonte è sempre aperto. Ripeti, ripeti: qualcosa resterà e qualcuno ci crederà. Appunto: benvenuti nella post-verità.

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