Il non voto della paura
sconfigge la politica

Vivere a Ostia è difficile. Lo è da molti anni. Da quando la criminalità mafiosa e camorristica si è incistata sul litorale laziale, risalendo la via Pontina dalla casertana terra dei fuochi, saldandosi con le famiglie di malavita rom - Fasciani, Spada, Triassi - immigrate dall’Abruzzo. Lo sanno bene i giornalisti minacciati - e non solo il redattore Rai colpito da una testata dal rampollo degli Spada - cosa significhi vivere dove tutti sanno che lo stabilimento balneare è di quella «famiglia», che la palestra appartiene ai loro concorrenti, e che la pizzeria sotto casa se la sono presa «i casertani». E poi che la pineta, la famosa pineta monumentale di Ostia, brucia ogni estate per decine di ettari a causa delle faide tra le bande che gestiscono lo spaccio e la prostituzione. Tutti lo sanno ma pochi parlano: per paura. Chi lo scrive poi, deve vivere sotto scorta e trema per i figli.

Quella che era una città ricca e vivace sin dai tempi della Roma antica, è oggi per la gran parte uno sterminato (duecentocinquantamila abitanti) deserto di palazzoni dove il disagio sociale cresce tra i cumuli di immondizia, gonfiato dalla crisi economica e dal declino della Capitale. Tutti sapevano ma politicamente il bubbone è scoppiato solo con l’inchiesta di Mafia Capitale quando è venuto a galla che il Municipio era colluso coi criminali tanto da dover essere sciolto per mafia e affidato ad un prefetto.

Quell’inchiesta ha travolto il Partito democratico nelle cui fila militava il presidente del Municipio arrestato appunto per mafia. Messo fuori gioco il partito di Renzi, le elezioni per il «nuovo» Municipio si è svolta in esclusiva tra il centrodestra, un M5S che ai tempi dell’elezione di Virginia Raggi aveva raccolto oltre il settanta per cento dei voti e – sorpresa – la destra neo-nazista di Casa Pound arrivata al 9 per cento. Come è finita tutti lo sanno: ha vinto al ballottaggio la candidata grillina col sessanta per cento dei voti contro l’esponente di Fratelli d’Italia che ha raccolto il quaranta per cento.

Ma attenzione: a vincere davvero è stata l’astensione, mai così estesa. Al primo turno era andato alle urne un misero trentasei per cento di elettori, al secondo turno siamo scesi al trentatre. Su centottantamila iscritti alle liste elettorali, solo sessantamila, uno su tre, sono andati a votare per l’uno o l’altro dei due contendenti il cui risultato dunque si ridimensiona pesantemente a uno scrutinio tra minoranze. Seggi deserti, scrutatori annoiati, seggi presidiati da soldati e poliziotti inviati da Minniti ed elettori al mare a godersi un po’ del sole d’autunno. Sfiducia, scoramento, disillusione, disprezzo per la politica? Probabilmente tutti questi sentimenti hanno tenuto lontano le persone dalle urne. Ora che ha vinto la sua candidata, Virginia Raggi esulta: «Ha vinto la gente». Quale? Ancora più bizzarro che la sindaca di Roma, in crisi di consenso, gioisca per una vittoria che ha segnato per il Movimento Cinque Stelle un crollo di diciassette punti percentuali.

Come se non bastasse, centrodestra e grillini in queste ore si stanno rinfacciando i voti mafiosi e neo-nazisti: «All’Idroscalo gli Spada vi hanno dato mille voti» recrimina la candidata di Giorgia Meloni; «è stata la tua leader a farsi fotografare con loro in campagna elettorale», è la stizzita risposta dei grillini. Né gli uni né gli altri però hanno l’onestà di ammettere che ad esser sconfitta è tutta la classe politica lontana anni luce dagli amministrati, anche da quelli – come i Cinque Stelle – che pure erano nati per raccogliere il vento rabbioso della rivolta contro la «Casta».

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