Il sapere libera
il futuro del Paese

Non era mai successo prima. Lo scorso 21 marzo, tutte le Università italiane hanno condiviso un’idea semplice ma di grande lungimiranza: la chiave di volta per il nostro Paese sta nella capacità, da parte delle Università, di attrarre sempre più giovani. Il che implica una cosa ben precisa: la necessità impellente di consolidare il ruolo delle Università come motore dello sviluppo e della trasformazione sia dei singoli territori sia della società nel suo complesso, ribadendo la funzione strategica della ricerca scientifica e della formazione per il futuro dell’Italia.

È ormai un dato acquisito che la presenza di un’Università rende i territori più ricchi e dinamici. Basti pensare che un euro investito nell’Università frutta al territorio almeno altrettanto: attraverso trasferimenti di tecnologia, divulgazione del sapere, servizi per i cittadini, posti di lavoro, e l’elenco potrebbe proseguire. Non sembra tuttavia che questa consapevolezza abbia portato a scelte politiche conseguenti. Negli ultimi anni, la Pubblica amministrazione ha subìto un taglio medio del 5%, che però nel caso dell’Università supera il 13%. Senza contare che negli ultimi anni le Università italiane hanno perso 2 miliardi e hanno dovuto far fronte al calo dei contributi statali contraendo le spese destinate al personale docente e non docente.

Alla luce di questi dati, è bene richiamare alcuni principi particolarmente significativi. Il primo è l’unità, un valore da perseguire con convinzione, soprattutto in un momento storico come il nostro, dove la crisi economico-sociale planetaria porta più a dividere che a unire. Ebbene, l’Università - istituzione culturale che vanta una storia di quasi mille anni e che, val la pena ricordarlo, è nata in Italia - è da sempre un luogo di coesione. E da sempre ha avuto la capacità di confrontarsi con i cambiamenti epocali, mantenendo intatta la sua missione di ricerca e insegnamento, indispensabile per formare le nuove generazioni e per contribuire alla crescita della società. Oggi, le Università devono anche essere competitive tra loro, ma questa competizione non deve trasformarsi in divisione, quanto perseguire obiettivi unitari, realizzando una crescita condivisa, forte e che sia di tutti. Solo così sarà possibile accrescere il livello medio delle università italiane.

Il secondo valore è l’universalità, la capacità di costruire un sapere critico, sempre in continua revisione, frutto del confronto e della contaminazione delle discipline e delle culture. I nostri giovani dovrebbero farlo proprio subito, perché prima di diventare buoni professionisti, ricercatori o imprenditori, devono essere soprattutto dei buoni cittadini. E per farlo devono partire dai valori condivisi del sapere critico e della democrazia, gli unici antidoti di cui disponiamo per sottrarci alla barbarie e far fronte all’ignoranza e al terrorismo. In tal senso, l’Università è il luogo di promozione della nostra società, dove si acquisisce la consapevolezza di essere cittadini “universali”, capaci di vivere e di muoversi in una prospettiva globale.

Il terzo valore è il futuro. E non può essere altrimenti, essendo l’Università il luogo dei giovani, che devono essere aiutati e preparati appunto per affrontare il futuro. È da loro che bisogna partire se vogliamo costruire il futuro del nostro Paese. Oggi, non ha più senso distinguere tra sviluppo e conoscenza, poiché la conoscenza è diventata, e lo diventerà sempre più, il fattore determinante dello sviluppo. Non ci possono essere dubbi: se vogliamo parlare di futuro, dobbiamo puntare sulla formazione e sul capitale umano. E senza il ruolo della Scuola e dell’Università tutto ciò è impossibile da realizzare.

Unità, Universalità e Futuro, dunque. Tre idee apparentemente semplici, ma che faticano a diventare prioritarie nell’agenda politica del nostro Paese, dove, negli ultimi anni, si è investito nella ricerca e nello sviluppo una percentuale del reddito nazionale a dir poco imbarazzante.

Ma nelle condizioni in cui versa oggi l’Università, come si fa a garantire il diritto di studio ai più meritevoli? Come si fa a sostenere la ricerca di base? È davvero possibile immaginare un rilancio del territorio nazionale con tutti questi ostacoli, frutto di scelte miopi e poco lungimiranti? C’è un dato su cui bisogna riflettere: l’Italia è l’unico Paese in Europa che sta subendo un calo degli iscritti all’Università, soprattutto nel Mezzogiorno. E malgrado ciò, è aumentato il rapporto tra docenti e studenti a causa del blocco del turn over e dello scarso investimento nei ricercatori.

L’Università è un patrimonio che deve essere preservato non solo per la sua storia millenaria, ma soprattutto per la funzione decisiva che può e deve svolgere nella formazione e nella crescita delle nuove generazioni. Lo dico con profonda convinzione: se non riparte l’Università difficilmente il nostro Paese riuscirà a ripartire.

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