Il signor Facebook
e gli occhi di sua figlia

E ora in quanti lo seguiranno? È la prima domanda da farsi dopo che Mark Zuckerberg, il mitico fondatore di Facebook ha annunciato di prendere due mesi di congedo parentale per stare vicino alla moglie Priscilla e alla figlia che sta per nascere.

L’annuncio lo ha dato ovviamente sul suo profilo personale ed è stato arricchito anche da una motivazione ben strutturata. «Gli studi dimostrano che, quando i genitori che lavorano prendono del tempo per stare con i loro neonati, i risultati sono migliori per i bambini e le famiglie. A Facebook offriamo ai nostri dipendenti fino a quattro mesi di maternità o paternità pagati, che possono essere presi nell’arco dell’anno».

Quella di Zuckerberg più che una vita è stata sino ad ora vera, straordinaria fiaba, e quest’ultima decisione s’inserisce armonicamente nel canovaccio. L’uomo che in 11 anni ha costruito il marchio più noto del mondo e ha messo insieme una ricchezza valutata in 44 miliardi di dollari è inevitabilmente un mito a cui tutti guardano con malcelata meraviglia, al di là dei giudizi che se ne possano dare. Che Zuckerberg se ne resti tranquillo a casa staccando i contatti con il lavoro, cioè con la gestione del suo impero, è il capitolo meno credibile di questa favola. Assai più credibile invece che Zuckerberg scateni una corsa all’emulazione. In America non in tanti potranno farlo, perché solo il 13% di imprese prevede nei propri contratti il congedo di paternità (negli Usa la materia non è regolata da una legge ma affidata alle imprese stesse).

E in quelle poche lo spirito competitivo è tale da pensare difficile che un dipendente metta a rischio la carriera indispettendo il proprio capo con una scelta di questo tipo. Ma l’effetto Zuckerberg potrebbe essere dirompente anche rispetto a un sistema così bloccato: del resto in quel 13% di aziende aperte al congedo, ci stanno tutte le aziende più innovative e soprattutto più performanti dal punto di vista del business: Netflix, l’azienda appena sbarcata anche in Italia, concede addirittura un anno di congedo retribuito, Adobe 16 settimane, Amazon 20. Anche Microsoft si è mossa alzando, poco tempo fa, a 12 le settimane di congedo pagato. Insomma la motivazione con cui Zuckerberg ha annunciato la sua decisione, sembra essere davvero convincente: un dipendente che apre una parentesi nella propria vita lavorativa in occasione della paternità, quando torna è un dipendente migliore. Più contento e più motivato, per la felicità sua e anche dell’azienda.

In Italia, dopo la timida sperimentazione avviata dalla Fornero (un giorno pagato entro il quinto mese del figlio), è stato presentato un disegno di legge che introduce un’innovazione molto più audace: si parla addirittura di «obbligo» di astenersi dal lavoro per 15 giorni nel primo mese di vita del figlio. Intanto un emendamento alla legge di Stabilità chiede di raddoppiare quanto previsto dalla legge Fornero.

In un modo o nell’altro, di qui o di là dall’Oceano, il mondo del lavoro deve adeguarsi a un dato di fatto che segna il nostro tempo: vale a dire, il cambiamento della figura del padre. Un cambiamento tracciato in modo chiaro e anche affascinante da Massimo Recalcati in uno dei suoi libri di maggior successo. «Se il nostro tempo», ha scritto lo psicoanalista, «è il tempo della morte del padre-padrone, bisogna ripensare il padre non più a partire dall’autorità simbolica conferitagli dalla tradizione, ma dai suoi atti, dall’atto della testimonianza. Si tratta di un padre che sa generare rispetto non al suo Nome, ma al suo atto». È quello che ha fatto Zuckerberg. Ha messo tra parentesi la potenza del suo nome, e ha scelto quest’atto di «testimonianza» verso sua figlia e sua moglie.

© RIPRODUZIONE RISERVATA