Istruzione in Italia
La vera priorità

Ha meravigliato non poco che nei suoi interventi ai due rami del Parlamento il neo presidente del Consiglio Giuseppe Conte, uomo colto e cattedratico di lungo corso, si sia poco soffermato sui problemi della scuola e della cultura. Lo stesso dibattito parlamentare, nel suo complesso, si è poco concentrato su questi temi, che invece trovano diffusa trattazione nel «contratto di governo». Nel capitolo riservato alla scuola, tra l’altro, si dice: «L’istruzione deve tornare al centro del nostro sistema Paese.

La buona qualità dell’insegnamento, fin dai primi anni, rappresenta una condizione indispensabile per la corretta formazione dei nostri ragazzi. La nostra scuola deve essere in grado di fornire gli strumenti adeguati per affrontare il futuro con fiducia. È necessario che anche i nostri ragazzi rimangano sempre al passo con le evoluzioni culturali e scientifiche, per una formazione che rappresenti uno strumento essenziale ad affrontare con fiducia il domani. Per consentire tutto ciò garantiremo ai nostri docenti una formazione continua».

Affermazioni ampiamente condivisibili, visto che la «Società della conoscenza», nella quale oggi viviamo, identifica come prioritaria non solo la diffusione dell’informazione, quanto la «costruzione di conoscenza». Da qui, la necessità di un nuovo modo di pensare e approcciarsi all’educazione e alla formazione. La crescita è la derivazione evidente di nuova conoscenza, la sola che possa creare ricchezza e, allo stesso tempo, coesione sociale. Qualunque società non potrà avere un futuro positivo, fintanto che, attraverso consistenti investimenti in «conoscenza», non sarà in grado di produrre una rotta chiara e una visione lungimirante per il proprio sviluppo. Questa visione non può che avere al centro la scuola, le università, i centri di ricerca pubblici e privati. Fino ad oggi i nostri centri, pur usufruendo d’investimenti da Terzo mondo, per i risultati raggiunti nei vari rami della scienza, non hanno nulla da invidiare a quelli dei Paesi più avanzati, che dispongono di risorse mediamente dieci volte maggiori delle nostre. Nonostante lodevoli iniziative di privati, fondazioni ed enti, la situazione si va facendo sempre più incomprensibilmente difficile.

Il personale delle università e della ricerca si è ridotto negli ultimi 10 anni di un terzo e per numero dei laureati siamo agli ultimi posti in Europa. Continuiamo a formare «eccellenze» a spese della collettività e le esportiamo a vantaggio di altri Paesi. Non c’è tempo da perdere, quindi, se si vuole inventare e assecondare una società nuova, in cui il sapere sia il fattore principale della competitività economica, della convivenza civile e democratica.

Nell’Enciclica «Laudato Si’» Papa Francesco, tra le tante profonde riflessioni, sottolinea che: «Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società». Ciò, in quanto il rendimento dell’investimento in conoscenza è più alto di quello di ogni altro investimento. È la radice del progresso umano e sociale, la condizione per lo sviluppo economico. Naturalmente, per il nuovo governo si tratta ora di riempire di contenuti tutte le condivisibili affermazioni riportate nel contratto quali: la centralità della scuola; la corretta formazione dei ragazzi; la formazione continua dei docenti; l’evoluzione culturale; maggiori investimenti in capitale umano.

Al nuovo ministro per l’Istruzione Marco Bussetti, che è stato docente, preside e reggente responsabile dell’ufficio scolastico provinciale della Brianza, non mancano conoscenze ed esperienza per dare corretta esecuzione ai contenuti del contratto. Basta con i toni e gli slogan da campagna elettorale. Si riparta dalla scuola. Sarebbe una scelta largamente apprezzata. Un bel segnale per l’intero Paese.

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