La capacità di viaggiare
con occhi sempre nuovi

Siamo entrati nel mese di agosto, mese di vacanza per eccellenza e mese di viaggi. Molti partono, infatti. Si ha la sensazione, però, che lo stile delle partenze e dei viaggi di questo agosto non sia quello dell’agosto di un passato più o meno recente. Vengono in mente, soprattutto, i mitici anni del boom economico. «Dal 1956 al 1965 raddoppiarono le presenze negli alberghi e quelle nei campeggi aumentarono di quattro volte. Le vacanze divennero così uno dei simboli del boom». Così Wikipedia.

Si deve anche ricordare che la Fiat 600 va in produzione nel 1965 e la Cinquecento, due anni dopo. Così le partenze di quegli anni vengono alla mente come partenze in massa, con le interminabili code sulle interminabili vie verso il mare. Forse i sociologi potranno far notare che coloro che partivano allora erano meno di quelli che partono oggi. Ma i mezzi di trasporto più lenti, le strade meno attrezzate hanno consegnato alla memoria qualcosa di leggendario, una serie di esodi che, in mancanza di meglio, si definivano «biblici». La massa dei gitanti la si è consegnata alla memoria come una famigliona grandiosa e casereccia. «Tutti al mare, tutti al mare, a mostrar le chiappe chiare», diceva la canzone.

Oggi quell’aspetto chiassoso non c’è più. Più gente viaggia e più gente val al mare e ai monti. Ma la si vede di meno. Forse perché i rapporti sociali si sono rarefatti e sono diventati più raffinati. Si viaggia come si vive. Anche quando si va al mare, ci si va con più discrezione. Le macchine non sono più la 600 e la 500: le cilindrate sono aumentate e il comfort pure. Tutti al mare, ma non precisamente a mostrar le chiappe chiare. Anche il viaggio delle vacanze è diventato cosa seria. Nello stesso tempo non si va solo al mare, e non si va solo a Rimini. I viaggi si sono allungati, nel tempo e soprattutto nello spazio. Si continua a viaggiare per trovare un po’ di riposo, ma anche per vedere cose nuove e lontane. A quel punto, però, ci si accorge che non basta spostarsi, ma che bisogna fare e saper fare molto altro. Dimmi come viaggi e ti dirò chi sei, si potrebbe dire. In fondo anche il viaggio verso le mete più alte è un viaggio dentro e verso se stesso. Non basta vedere, devo capire e interiorizzare quello che vedo.

Il viaggiare esemplare, infatti, dovrebbe essere una specie di andirivieni fra il «dentro» di noi e il «fuori». Si parte per vedere cose nuove per rispondere a una inspiegabile, insopprimibile curiosità. Poi, dopo aver scoperto mondi nuovi, dopo aver risposto alle sollecitazioni della nostra curiosità, ci accorgiamo che i paesi scoperti non sono più nuovi e allora vogliamo vederne altri e così via. È un interminabile circolo virtuoso. L’uomo è nato curioso, infatti, e, quindi, in qualche modo viaggiatore. Ma l’uomo che viaggia deve restare uomo e anche se riposa deve continuare a coltivare la sua profonda curiosità. Non basta, infatti, vedere molto, bisogna vedere bene. Esiste una forma stranamente moderna di malattia che si potrebbe chiamare la bulimia del viaggiare. Si viaggia molto, si viaggia continuamente. Solo che il bulimico non è uno che mangia molto, ma uno che non sa mangiare. E il molto che mangia è proprio lì a denunciare la sua incapacità di mangiare davvero. Così la bulimia del viaggiare denuncia la poca capacità di viaggiare davvero. Mi viene in mente una delle affermazioni fulminanti di Proust, proprio a riguardo dello stile del viaggiare. Dice Proust: «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi». La novità, dunque, non sta nelle cose che si vedono, ma negli occhi che le guardano.

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