La cultura torna
al centro della città

Una delle più belle canzoni di Domenico Modugno dice che la lontananza è come il vento, spegne i fuochi piccoli, accende quelli grandi. Oggi Bergamo e l’Accademia Carrara si rivedono per la prima volta dopo sette anni e capiranno di che fuoco brucia il loro amore. Sette anni sono un’eternità. Oggi è giorno di festa e non è più il caso di chiedersi se siano stati troppi e si poteva fare meglio, anche se nessuno ci toglie dalla testa che la città non avrebbe sopportato con la stessa, rassegnata pazienza, un’analoga chiusura dello stadio.

L’Accademia Carrara è un simbolo del collezionismo più virtuoso. Le raccolte dei grandi conoscitori (Giacomo Carrara, Guglielmo Lochis, Giovanni Morelli, Federico Zeri) le sono state affidate dai loro possessori affinché diventassero di utilità pubblica. E tutti gli altri donatori, più di duecento - l’ultimo solo un mese fa - hanno sempre emulato i pionieri. È un pezzo di grande Storia, un esempio di valore e coscienza civile che dimostra come sia possibile l’intreccio tra passione per l’arte e valore educativo della cultura. Che non è moneta, ma palestra di crescita umana. Non le si può chiedere di essere redditizia, pur se deve trovare il modo di mantenersi autonoma, per salvaguardare la propria indipendenza. Ben vengano nuovi strumenti di gestione, come le Fondazioni, ma in un museo civico di grande tradizione popolare come la Carrara la mano pubblica deve continuare ad essere forte, seria e affidabile.

Oggi è il giorno dei fuochi d’artificio. Superato l’effetto novità, code all’ingresso, sale affollate, arriveranno i giorni normali e grigi, cieli smunti e pozzanghere. Lì misureremo la voglia dei bergamaschi di riappropriarsi del loro gioiello. Se c’è una cosa che distingue il nostro carattere è quel pudore eccessivo che confonde la sobrietà con la paura di mostrarsi. Siamo, come dire, sentimentalmente poco esposti. Ecco, la nuova Carrara è l’occasione per uscire da una mentalità che in passato ci ha penalizzati oltremisura: è il momento di allargare l’orizzonte e pensarsi in grande. Pochi sanno che la Carrara ha rischiato di morire prima ancora di nascere. Accadde nel 1859, quando uno dei suoi fondatori, Guglielmo Lochis, stava cedendo alle sirene londinesi. Il direttore della National Gallery, sir Charles Eastlake, voleva comprare la sua collezione. Avrebbe avuto il suo nome inciso sui marmi della regina d’Inghilterra, oppose alla sovrana un cortese, ma fermo rifiuto: con la sua scelta pensava già a Bergamo – diremmo oggi - come a una capitale della cultura.

Oggi, quando il sindaco entrerà nella pinacoteca si sentirà piccolo, piccolissimo. Perché sa bene che l’Accademia Carrara esisteva prima che lui fosse eletto ed esisterà anche dopo la fine del suo mandato. Nella sale magnifiche avvertirà tutto il peso della responsabilità di raccogliere un testimone e consegnarlo – intatto, migliorato – a chi verrà dopo di lui. Il cittadino qualunque invece si sentirà grande, grandissimo. Perché tutto quel che vede è suo: Raffaello, Mantegna, Rubens, Moroni… La cultura è il patrimonio di chi non ha patrimonio.

Pensando alle donne che si truccano, Borges si accorse che nella parola cosmesi è contenuta la parola cosmo. Quando una donna si trucca è come se mettesse in ordine il mondo. Oggi, domani, sempre, varcando la soglia della pinacoteca, non fatevi intimorire dall’indicibile bellezza dei suoi capolavori. Tenete a bada i timori reverenziali. Entrate con passo leggero: dentro, c’è un mondo che vi aspetta. E se il cuore vi batterà troppo in fretta, non spaventatevi, è normale. Quella tra noi bergamaschi e l’Accademia Carrara è una storia d’amore lunga, onesta e nobile. Bella come un’opera d’arte. È impossibile non essere belli quando si è innamorati.

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