La fede della Chiesa
che difende la scuola

Il Natale dovrebbe essere festa della pace. Ma spesso sono guerre, piccole guerre, certo, ma guerre. Anche stavolta gli ingredienti ci sono tutti.

Da una parte il preside Luciano Mastrorocco,che difende la laicità della scuola: la scuola è di tutti, no a simboli che dividono. Niente presepio. Dall’altra alcune famiglie che rivendicano il diritto ad avere anche nella scuola un simbolo così semplice e così universale. Alla fine la faccenda è diventata politica. La Lega, che ha deciso di essere più cristiana del Papa, si è impegnata anche stavolta a difendere il Natale.

Al centro di tutto, dunque, la scuola. Bisogna riconoscere che la posizione del preside (ora riprecisata: è notizia di ieri) è semplice: siccome abbiamo percentuali molto forti di non cristiani, un simbolo cristiano divide. Quindi niente presepio. Per la verità nelle sue dichiarazioni il preside non parlava di pluralismo e di incontro di esperienze. Ma dell’impossibilità di celebrare ricorrenze religiose perché questo non rientra nelle competenze educative della scuola (così almeno ci è sembrato di capire da dichiarazioni che brillano per la loro oscurità). Per la verità ci risulta che nessuno ha chiesto a Mastrorocco di celebrare la Messa di Natale nella sua scuola. Ma qualcuno gli ha chiesto che segni e racconti che fanno la sostanza del Natale, festa che tracima da tutte le parti, possano entrare anche alla scuola di Celadina, semplicemente. Religioni senza storie, senza riti, senza corpo sono come la torta di fragole senza le fragole. Altrimenti la scuola, che per la sua vocazione dovrebbe accogliere tutto e aiutare a capire tutto, rischia, per quanto riguarda le religioni, di non accogliere nulla.

Fuori della scuola sta la comunità cristiana. Anche in questa circostanza si sono alzate le voci di alcuni cristiani tutti d’un pezzo che gridano alla grande deriva e rivendicano diritti di presenza dei simboli cristiani. In queste prese di posizione sonnecchia la possibilità di una pericolosa confusione. La Chiesa non dovrebbe usare la scuola per difendere la fede, ma dovrebbe usare la fede per difendere la scuola e il suo autentico pluralismo. Certo, la parola «usare» non è bellissima, ma ci capiamo. Insomma, nel dibattito attorno alla scuola di Celadina, di scuola si tratta, dove si fa cultura, non di Chiesa, dove si fa altro. Anche perché la Chiesa non dovrebbe identificarsi troppo con un presepe fatto in scuola, dove è facile che il Bambino (con la «B» maiuscola) diventi un bambino (con la «b» minuscola) e dove la pace «agli uomini amati da Dio» (è il canto degli angeli nel Vangelo di Luca) diventi un innocuo «volemose bene». Alla scuola, al massimo, si può chiedere che presenti seriamente il simbolo evangelico. Questo dovrebbe permettere di collocare un presepino sotto l’albero di Natale senza negare la laicità della scuola. Preside Mastrorocco permettendo.

E fuori della scuola c’è anche Matteo Salvini. Non so se sa chi è il Dio che si fa bambino che cosa è la croce e che cosa è la risurrezione. Non so se sa. Ma, a parte questo, è evidente che il Natale della Lega non è il «nostro» Natale. Si usa, di fatto, il Natale per fare il contrario di quello che il Natale annuncia. Gesù nasce prima di tutto per i poveri, i pastori, incaricati di annunciare che nasce per tutti. Nel Natale di Salvini il Bambino nasce per lui, gli dice di non far girare la notizia perché il Natale è in esclusiva per lui e per pochi altri fortunati. Il segretario della Lega può fare quello che vuole, ovviamente. Ma a questi missionari convertiti dal dio Po al Dio di Gesù Cristo vorrei sommessamente ricordare che quel Dio lì che loro difendono nasce fuori casa, è profugo in Egitto, è perseguitato e messo in croce dai difensori dell’ortodossia, più duri e più puri, allora, di quanto non lo sia Matteo Salvini, oggi. Il Bambino di Betlemme può salvare anche Salvini, se Salvini lo vuole. Ma non ci risulta il contrario: che Salvini sia stato incaricato di salvare il Bambino di Betlemme.

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