La nostra storia
è fatta con voi

Se è vero che «la storia siamo noi», allora è altrettanto vero che la nostra storia, la storia de L’Eco, siete voi, quasi 390 mila lettori che ogni giorno sfogliate il giornale nel salotto di casa piuttosto che in ufficio prima di iniziare a lavorare o mentre aspettate di bere il caffè al bar. Siete voi i nostri alleati migliori nel sostenere questa fatica quotidiana, ed è proprio tra di voi che nel corso della lunga storia di questo giornale è nata, è cresciuta, e si è consolidata, una delle comunità di cui andiamo maggiormente fieri, quella dei nostri abbonati: così tanti e così fedeli che oggi ci consentono di essere il terzo quotidiano in Italia per numero di abbonati.

A voi tutti, dunque, va doverosamente un maiuscolo «GRAZIE!». Ma non basta, bisogna andare oltre, bisogna cercare di ricambiare il vostro affetto con qualche piccolo regalo, che in clima natalizio fa sempre piacere. Il primo è proprio per tutti - compreso chi ci legge tutti i santi giorni, ma non ci compra mai - ed è legato al prezzo del giornale, che resterà fisso a un euro e trenta centesimi almeno sino alla fine della prossima estate. Può sembrare poca cosa, ma - credeteci sulla parola – in tempi difficili come questi, si tratta di uno sforzo assai rilevante, soprattutto se nel contempo si cerca di conservare intatta la qualità del giornale. Il secondo regalo è una sorta di «coccola» che vogliamo riservare ai nostri abbonati, nella speranza però che piaccia anche a tutti gli altri, e li stimoli ad abbonarsi.

È una pagina che - da oggi e per cinque giorni alla settimana, dal martedì al sabato - troverete nelle cronache, un modo per farci sentire ancora più vicini ai nostri lettori più fidati, offrendo loro una serie di simpatiche occasioni per svagarsi un po’ senza spendere nulla: una serata al cinema o in teatro, in un bel museo o al Centro Stampa del nostro giornale (non sottovalutatelo, la rotativa che «gira» ha sempre il suo fascino), «dentro» una bella mostra accompagnati da una bravissima guida, alla scoperta dei tanti tesori che Bergamo e la Bergamasca custodiscono da secoli. Altre volte, invece, si riuscirà a risparmiare qualche euro, approfittando degli sconti speciali che i nostri sponsor (a proposito, grazie mille anche a loro) riserveranno di volta in volta ai più fedeli tra voi. Un mezzo per restare sempre in contatto, con il piacere della carta fra le mani, e per invogliare qualcun altro a stringere un patto d’amicizia con il suo giornale.

Già, il «suo» giornale. Perché oggi essere il giornale di un lettore – non di qualcuno – non è poi così semplice, come invece molti vogliono far credere. Da qualche anno a questa parte, giornali e giornalisti godono di poche simpatie tra l’opinione pubblica, che non perde occasione per dileggiare questo o quel collega, questa o quella testata. Certamente, nel corso degli anni, soprattutto in passato, la categoria ha messo del suo per creare le premesse di questo atteggiamento, ma il disinteresse e il dileggio verso la carta stampata sono inesorabilmente schizzati alle stelle nell’era di Internet e dei social, intrecciandosi al tempo stesso con un drammatico crollo del livello culturale del Paese, alle prese non più con uno scarso numero di cittadini capaci di leggere, scrivere e far di conto, ma con una classe dirigente dalla preparazione approssimativa, figlia di una pregressa ma costante opera di «delegittimazione» nei confronti di una scuola fatta di impegno e di sacrificio, a favore di una non ben definita democrazia scolastica caratterizzata dal 6 politico (o dal 18 in ambito universitario).

Tra la scarsa capacità di analisi e di lettura dei fenomeni sociali, e l’allontanamento (spesso per partito preso) di chi prima questi fenomeni li aiutava a leggere (ora colpevole di dare interpretazioni diverse da quelle che l’opinione pubblica vuol sentirsi dire) si è arrivati al celebre (quanto contestato) «anatema» di Umberto Eco. «I social media – disse l’accademico durante una lezione magistrale all’Università di Torino - danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Espressione forte, certo, non priva di verità peraltro, ma nell’era del digitale - e oggi questa stiamo vivendo - è impensabile credere ancora di riuscire a lasciar fuori dai processi culturali una così larga massa di persone, con tutte le inevitabili conseguenze, prima tra tutte, appunto, la (non condivisibile) espulsione di quella classe intermedia che faceva da tramite nella circolazione delle notizie. Davvero non dicono nulla gli insulti «social» a Massimo Gramellini per «Il caffè» di venerdì scorso? E come commentare lo sconcertante «Questo lo dice lei», che la Sottosegretario all’Economia, Laura Castelli (5 Stelle), ha ribattuto all’ex ministro Padoan mentre le stava spiegando le conseguenze della crescita dello spread nelle tasche degli italiani?

Oggi per stare in rete in maniera credibile, giornali e giornalisti devono faticare molto di più. Non per essere solo attendibili, o per convincere che quel che scrivono è vero, ma perché devono «sporcarsi le mani» per dimostrare che le loro affermazioni sono il frutto di studi e di analisi serie, approfondite e corrette, a prova di «scemo del villaggio», alle prese con una «digitazione» compulsiva sulla tastiera del pc, del tablet o dello smartphone. Oggi si invoca il ritorno degli intellettuali per opporsi alla barbarie che pure abbiamo contribuito a coltivare, ma basterebbe invocare il ritorno di un buon lavoro giornalistico per rimettere un po’ di ordine. Che è poi quello che si cerca di fare.

E in un quadro così complicato, chi, se non una politica impreparata, ha interesse ad amplificare il divario tra opinione pubblica e «pennivendoli» o «infimi sciacalli»? Non è certo un caso se i primi a tagliar fuori i giornali - affidandosi in via sostanzialmente esclusiva a Instagram, Facebook, Twitter e Telegram - sono proprio i due vicepremier del governo, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, abilissimi nel catechizzare direttamente il proprio elettorato quasi 24 ore al giorno, da ogni angolo della terra, senza alcun bisogno di mediazioni terze, ree di distorcere la fedeltà del verbo. Con grande gioia di chi vuol sentirsi dire esattamente quel che sta ascoltando, liberandosi in un colpo solo delle «prostitute dell’informazione». Ma non dimentichiamo che tra le mediazioni fastidiose giubilate dai due leader politici c’è anche il Parlamento, ormai sostanzialmente rottamato.

Rispetto al passato, assistiamo oggi ad un pericoloso ribaltamento dei ruoli. Se già nel 1920 il giornalista statunitense Walter Lippmann, nel suo saggio «Libertà e informazione», metteva sotto accusa il potere e l’influenza della stampa - vincolando direttamente la salute della democrazia alla salute del giornalismo, con una classe politica interessata a poter contare su una informazione vera, seria e responsabile, così da poter prendere le decisioni migliori per la società -, oggi si è pensato bene di azzerare completamente questo spazio, consentendo sempre meno ai giornali di fare il proprio mestiere, ma informando direttamente l’opinione pubblica di quel che più interessa a chi deve decidere le sorti del Paese. Oggi come allora, in un caso o nell’altro, per il troppo potere della stampa prima o per il troppo potere della politica ora, «la democrazia ne viene adulterata e danneggiata».

Ecco perché fare oggi un giornale per il lettore è cosa difficilissima, soprattutto in una «piccola» città come la nostra, dove per fare buona informazione non serve necessariamente urlare o rincorrere stereotipi modaioli o alternativi, ma buon senso e rispetto reciproco, dosando diritti e doveri di tutti, all’insegna di un’etica chiara e ben definita, da sempre. All’insegna dei valori che credono nell’uomo e nella sua capacità di dare il meglio di sé per il bene di tutti. Siamo così da quasi 139 anni e vorremmo esserlo per molti anni ancora, contribuendo alla giusta crescita di questo piccolo spicchio di mondo. E, per farlo, contiamo su di voi e sul vostro aiuto. Grazie se non lo dimenticherete.

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