La politica di stabilità
fa un’altra vittima

Il referendum visto da fuori può anche rincuorare. «Der Spiegel» dedica un lungo servizio dal titolo «I migliori tedeschi sono gli italiani». Gli italiani ovviamente non ci credono ma nel timore di un contagio bancario che porterebbe Deutsche Bank alla resa dei conti anche le iperboli aiutano. In Germania i giudizi sull’Italia tendono al ravvedimento. Morale : se la crescita non prende il via la colpa non è degli sfaccendati dello stivale ma dell’austerità. Il commentatore di Der Spiegel è in buona compagnia, Wolfgang Münchau, tedesco doc, ma attivo dalle colonne del britannico «Financial Times» non lesina critiche alla politica di bilancio di Berlino ed ha un nutrito gruppo di seguaci in patria. Dell’Italia si apprezza il deficit sempre inferiore al 3% nonostante la stagnazione, mentre invece il governo Schröder nel 2003 chiese e ottenne di andare oltre. E poi la riduzione delle spese pubbliche, il surplus delle esportazioni, le riforme e il coraggio di sottoporle al consenso degli elettori .

Insomma tutto quello che in Italia è diventato ormai normale amministrazione in Germania assume i contorni dell’ impresa di un Paese che non si tira indietro. Se nonostante tutto questo impegno l’Italia fa ancora fatica allora vuol dire che qualcosa non quadra nella politica finora imposta dall’Europa per affrontare la crisi. È quanto si chiedono i circoli più illuminati di un ampio strato sociale acculturato. La consapevolezza di sedere tutti sulla stessa barca induce a muoversi con occhio attento alle possibili alternative. Se il Paese Italia è costantemente sull’orlo di una crisi irrisolta anche la Germania si trova esposta ai pericoli. L’euro accomuna i destini ma dopo otto anni di crisi neanche il gigante tedesco può convivere a lungo con la perdurante instabilità italiana. E se a Berlino pensano di cambiare il carattere delle nazioni per renderlo più vicino al sentire tedesco, devono fare i conti con l’economia che così a lungo non è disposta ad attendere. Le avanguardie intellettuali della politica della crescita segnano questa impazienza. Ma la popolazione è ben lungi dal seguire.

La politica in Germania si esprime in sentimenti di superiorità nazionale. È una percezione condivisa che tutti i partiti devono cavalcare se vogliono avere una fetta di consenso alle prossime elezioni di settembre 2017. Il progetto di portare anche in Germania il pedaggio autostradale ha sempre trovato nel tempo violenta opposizione sino al momento in cui il ministro dei Trasporti ha avuto l’idea fulminante. La vignetta la pagano gli stranieri. La Csu bavarese l’ha inserita nel programma di governo perché era l’uovo di Colombo. La Germania è un passaggio obbligato per chi viene da Nord verso il sole del Mediterraneo e i traffici con Francia, Austria e Svizzera sono intensi, un pedaggio può solo far bene alle casse dello Stato. Le infrastrutture pubbliche in Germania hanno bisogno di essere rinnovate, ma la politica della parità di bilancio rende difficile reperire i fondi. Così la politica di stabilità ad ogni costo ha fatto un’altra vittima. Pagheranno gli utenti. Quelli non tedeschi.

Bruxelles all’inizio si è opposta poi hanno trovato la soluzione. Chi in Germania ha una vettura che non inquina o inquina poco di fatto è esentato dal pedaggio. A chi obietta una sorta di doppia morale, si risponde no perché gli automobilisti pagano già la tassa annuale. Al grido «attenti all’autostrada tedesca», gli olandesi sono già scesi sul sentiero di guerra e non ne vogliono sapere. Ma non hanno grandi speranze: gli automobilisti tedeschi votano in Germania, loro no.

© RIPRODUZIONE RISERVATA