Popolarità di Putin
Messaggi all’Occidente

Decimale più, decimale meno, Vladimir Putin ha raggiunto il proprio obiettivo. Che non era essere rieletto e tornare a occupare il Cremlino per la quarta volta, perché questo era scontato. Ma piuttosto avvicinare con il numero dei voti raccolti (pare intorno al 75%) la quota stratosferica del consenso politico raccolto nel 2017 e mai sceso, secondo l’affidabile centro studi Levada Center, sotto la soglia dell’80% di gradimento. Si tratta, anche e ovviamente, di un messaggio che la Russia intera recapita all’Occidente e che la classe dirigente putiniana aveva confezionato con grande cura.

Elezioni spostate nel giorno che segna il quarto anniversario della riannessione della Crimea (quando avvenne, il rating di Putin sfiorò il 90%), il giorno del silenzio elettorale occupato con l’annuncio delle misure prese contro il Regno Unito a sua volta infuriato per il «caso Skripal», un periodo di avvicinamento al voto segnato da un continuo incitamento a recarsi alle urne. Dell’assenza dell’oppositore Aleksej Navalnyj, invece, non vale la pena di tener conto. La condanna che l’ha tenuto fuori dai giochi sarà magari stata pretestuosa, ma il blogger dal punto di vista elettorale non pesa quasi nulla.

Il punto che per ragioni politiche non si vuole accettare e per ragioni culturali non si riesce a comprendere è che Putin è davvero popolare nel suo Paese. Magari non con il 75% dei consensi, ma sarebbe eletto presidente in ogni caso. D’altra parte, c’è una logica. Nel 1999, quando Putin arrivò al vertice, la Russia era una nazione immensa ma disastrata, che solo l’anno prima aveva dichiarato il default e l’impossibilità di rispettare gli obblighi finanziari con i creditori esteri e in cui il Prodotto interno lordo pro capite era di 1.300 dollari. Ieri, ripresentandosi a chiedere il voto, lo stesso Putin avrebbe potuto vantare una nazione non florida ma libera da obblighi esterni e con un Pil per persona vicino ai 12 mila dollari.

A dispetto di coloro, ed erano molti, che nel 2015 (tra Ucraina, sanzioni e crollo del prezzo del petrolio) annunciavano un crollo come quello del 1998.

Poi, certo, c’è tutto ciò che sappiamo. Le disuguaglianze enormi, la corruzione, il (quasi) monopolio della comunicazione in politica e altrove, le sacche di inefficienza, il pugno di ferro nella gestione del Caucaso. Quello che continuiamo a non sapere, invece, è quanto valga un risultato che per noi è un difetto ma agli occhi dei russi ha grande importanza. Putin ha ridato alla vita sociale della Russia una cosa preziosa: la prevedibilità. Tra declino dell’Urss, perestrojka ed epoca Eltsin, i russi hanno attraversato non solo la fine di un mondo ma anche un ventennio di scossoni, confusione, impoverimento, in certi momenti disperazione. Noi siamo abituati a prenderci gioco della retorica dei treni che arrivavano in orario quando c’era lui. Ma se in orario arrivano i salari e le pensioni tutto l’anno e il carbone in inverno, se l’esercito sembra di nuovo tale e c’è una struttura amministrativa che tiene insieme undici fusi orari, qualche effetto è lecito aspettarselo. Un russo che aveva vent’anni a metà degli anni Novanta, oggi che è sui quaranta perché dovrebbe particolarmente avercela con Putin?

Alla fin fine, quindi, non è molto complicato. E Vladimir Putin, per di più, ha solo 65 anni. Alla fine di questo quarto mandato ne avrà 71, neanche tanti. Con ogni probabilità passeremo questi sei anni a chiederci che cosa deciderà di fare da grande.

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