La ripresa non si sente
L’Italia impoverita si sta arrabbiando

Che cos’è questo rancore che circola come un veleno nell’Italia dei nostri giorni, segnalato dall’annuale Rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis? Il rancore è un risentimento profondo, un odio tenuto nascosto e quasi covato nell’animo. Per i ricercatori dell’istituto fondato da Giuseppe De Rita questo stato d’animo permanente è dovuto a un blocco sociale ormai permanente che coinvolge giovani e vecchi, ricchi e poveri, ceto medio e classe operaia, immigrati e locali.

È l’immobilità sociale a creare quel rancore diffuso che un giorno potrebbe esplodere. Secondo il Censis «persistono trascinamenti inerziali da maneggiare con cura: il rimpicciolimento demografico del Paese, la povertà del capitale umano immigrato, la polarizzazione dell’occupazione che penalizza l’ex ceto medio». Il «corpaccione» del ceto medio, come lo chiamava De Rita, è ormai un immenso lago carico di precarietà e di scarso dinamismo. In parole povere «non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità crea rancore». Questa ripresa, se c’è, non si percepisce e forse è appannaggio di chi sta già bene, non libera dalle difficoltà chi è scivolato nella difficoltà economiche dovute alla perdita dell’attività o del posto di lavoro. Un realtà diffusa, ma anche un incubo ricorrente in chi ancora non la vive.

La paura del declassamento è infatti il nuovo «fantasma sociale» secondo il Rapporto censis 2017: l’87,3 per cento degli appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire con l’ascensore sociale, così come l’83,5 per cento del ceto medio e il 71,4 per cento del ceto benestante. L’ascensore non sale, può bensì scendere. Gli intervistati infatti pensano che al contrario sia facile scivolare in basso: lo sostengono il 71,5 per cento del ceto popolare, il 65,4 per cento del ceto medio, persino il 62,1 per cento dei più abbienti. La tradizionale radiografia del Paese del Censis rivela che l’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59 per cento degli italiani, in aumento quando si scende nella scala sociale: 72 per cento tra le casalinghe, 71 per cento tra i disoccupati, 63 per cento tra gli operai. Ma a ben vedere questa non è una gran novità. Sono anni che si parla di «guerra dei poveri» a proposito di nuove e vecchie migrazioni.

Le cause di questo rancore profondo che coinvolge ampi strati della popolazione sono note: la politica. L’84 per cento degli italiani non ha fiducia nei partiti, il 78 per cento nel Governo, il 76 nel Parlamento, il 70 per cento nelle istituzioni locali, nelle Regioni e nei Comuni. «L’onda di sfiducia che ha investito la politica e le istituzioni non perdona nessuno». Il 60 per cento è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il 64 per cento è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75 per cento giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici. Percentuali plebiscitarie. «Non sorprende che i gruppi sociali più destrutturati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle sirene del populismo e del sovranismo», osserva il Censis. «L’astioso impoverimento del linguaggio rivela non solo il rigetto del ceto dirigente, ma anche la richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi dalla dialettica socio-politica». Sono dati impressionanti che parlano di un Paese seduto sulla cima di un vulcano e che dovrebbero far riflettere il mondo della politica. Ma, prosegue il Censis, la politica risponde continuando a tradire le aspettative della gente o a cavalcare il rancore. E a marzo si vota.

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