Sanità di montagna
in cerca di risposte

Quella che l’assessore alla Sanità di Regione Lombardia, l’avvocato Giulio Gallera, farà sabato a Bergamo non sarà una «banale» visita istituzionale, ed è giusto che non lo sia. Ad attenderlo nella sede dell’Ats, ci saranno - oltre ai consiglieri bergamaschi del Pirellone - anche i sindaci della Val Brembana e della Val Seriana, in attesa di risposte concrete su due temi che stanno a cuore non soltanto alla gente di quelle valli, ma alla comunità bergamasca nel suo complesso. Sì, perché quando si parla di sanità, di salute, di servizi da offrire a chi ha bisogno di cure e di assistenza non ci sono confini orografici che tengano. Le posizioni delle due valli sono differenti, ma accomunate fondamentalmente da un’unica richiesta: avere le risorse necessarie per continuare a garantire quei servizi sanitari e sociosanitari che oggi l’ospedale di San Giovanni Bianco (in primis) e l’ospedale di Piario faticano ad assicurare ai propri territori.

Storie certamente diverse, quelle delle due strutture, frutto di percorsi «professionali» quasi opposti - la prima fortemente trascurata nel corso dell’ultimo decennio, l’altra, invece, «ricostruita» pezzo per pezzo (pur con qualche problema) -, ma che, alla fine, hanno portato quasi allo stesso destino, quello che molti «ospedali di frontiera» (definizione che in Regione non piace a tutti) hanno iniziato a conoscere già da qualche anno. Un declino fatto da un costante calo di interventi chirurgici e di ricoveri (non sempre adeguatamente rimpiazzati dalle cure in day hospital), oltre che da un continuo decremento delle nascite, in linea insomma con quel che accade quando le zone di montagna si spopolano: le giovani coppie migrano altrove (e con loro le speranze di veder crescere nuove vite), gli anziani diventano sempre più anziani, e oltre ai medici e alle medicine serve chi si prenda cura di loro non solo dal punta di vista ospedaliero. Ma «arroccati» a Piario, piuttosto che a San Giovanni Bianco, questi piccoli ospedali continuano ad avere una missione da svolgere, degna dello stesso rispetto che va garantito a quei malati che dei loro servizi hanno bisogno.

Certo, sono ospedali di frontiera, ospedali di montagna, e nessuno (primi cittadini in testa) può pensare di avere a disposizione un centro trapianti o dodici posti letto di terapia intensiva, ma un piccolo «concentrato» di quel che serve a quei territori va mantenuto o addirittura potenziato. E stabilire cosa occorre davvero non spetta né ai sindaci da soli, né a Regione Lombardia da sola, ma serve che tutti insieme leggano con serietà e onestà intellettuale quel che emerge dall’analisi dei veri bisogni della gente: non solo gli aridi numeri, ma anche la loro interpretazione.

Su questo, San Giovanni Bianco e Piario hanno due necessità diverse. Dato per scontato che la riapertura del «punto nascite» in Val Brembana non la si può riprendere in considerazione (non esistono le condizioni per partorire in sicurezza e ricostruirle richiederebbe un grandissimo sforzo, non soltanto economico, e comunque, allo stato attuale, non giustificabile), resta però legittima la richiesta di continuare a mantenere tale l’ospedale, potenziandone almeno due caratteristiche fondamentali per i pazienti «acuti», il Pronto soccorso e la Medicina, comprendendo però anche l’aspetto pediatrico. Garantire questo sarebbe già più che sufficiente per sorvolare sull’improvviso quanto inspiegabile «tramonto» del progetto per realizzare un centro regionale per i disturbi del comportamento alimentare, promesso dall’assessore Gallera nell’autunno scorso, ma già finito in un cassetto. Idea bella e suggestiva, ma bisognosa di molti soldi per poter davvero reggersi sulle proprie gambe. E allora, tanto valeva decidere subito di potenziare quel che già c’è. Oggi l’impressione che i più hanno avuto, è che la promessa di allestire un centro per i disturbi del comportamento alimentare (ben confezionata nel convegno di ottobre) era funzionale solamente a placare gli appetiti della comunità, tirando in là e guadagnando ancora un po’ di tempo: se non hanno pane, che mangino le brioches...

Le vicende di San Giovanni Bianco, già complesse in origine, si complicano ulteriormente «grazie» alla nuova legge regionale che ne ha attribuito la gestione al «Papa Giovanni»: il direttore generale, Carlo Nicora, deve necessariamente far buon viso a cattiva sorte, ma la gestione di due ospedali unitamente a una «fetta» di territorio è oggettivamente complicata, almeno fin quando la riforma non sarà davvero metabolizzata dall’intero sistema. E ci vorrà qualche annetto....

Piario ha invece l’esigenza di salvaguardare il proprio punto nascite, necessità legittima sia perché il totale dei parti è poco al di sotto della soglia di sopravvivenza decisa dal ministero (500 all’anno), sia soprattutto perché un lavoro organizzativo per poter continuare a lavorare è stato fatto, almeno in buona parte. Servirebbe potenziare Pediatria e Ginecologia, «invogliando» gli specialisti a raggiungere stabilmente l’Alta Valle, cosa non facilissima, ma dove non può il panorama, può (purtroppo) l’euro, il che significa dover mettere mano al portafogli.

E qui il cerchio si chiude. Per rimettere in pista gli ospedali di San Govanni Bianco e di Piario serve subito all’incirca un milione e mezzo di euro, cifra non certo impossibile da racimolare per una Giunta come quella lombarda. Per cui l’assessore Gallera si metta il cuore in pace e apra la cassa. Come del resto è già stato fatto per altri ospedali lombardi. A buon intenditor...

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