La spesa di notte
segno dei tempi

Come avviene da anni in molte città europee (per non parlare degli Stati Uniti), stanno prendendo piede anche in Italia, soprattutto al Nord (ora tocca a Bergamo), i supermercati aperti 24 ore su 24, sette giorni su sette. La prima fase sperimentale (messa a punto da una catena di supermarket e resa possibile dal decreto Monti) pare abbia funzionato, con un aumento della clientela che è andato al di là delle aspettative.

A fruirne, ci informano le direzioni del marketing, sono soprattutto tassisti in pausa, medici e infermieri che lavorano in ospedale o al pronto soccorso, vigilantes, lavoratori del turno di notte, ma anche turisti o giovani di ritorno dal cinema e dalla discoteca. Ma è evidente che la fruizione si allargherà a chiunque abbia la necessità di comprare il latte per la colazione o non ha potuto fare la spesa durante la giornata per motivi di lavoro o per altre vicissitudini. Un servizio che inevitabilmente cambierà le nostre abitudini, si spera in meglio, e forse ci renderà la vita un po’ più comoda. E forse contribuirà ad aumentare l’occupazione.

Sull’apertura notturna i sindacati si sono dichiarati contrari e hanno giustamente lanciato un grido d’allarme. Perché i rischi sociali (e non solo) dell’apertura sette giorni su sette sono numerosi. Il primo riguarda i lavoratori: attualmente - informano le catene di supermercati che hanno avviato l’iniziativa - sono tutti su base volontaria, ma questo non basta a evitare che vengano sfruttati con contratti atipici o interinali o malpagati. Lavorare di notte è ben diverso che lavorare di giorno. Inoltre deve essere garantito non soltanto il riposo, ma anche la possibilità di accedere ai giorni di festa, attraverso turni «sopportabili».

È tipico delle multinazionali garantire il ciclo di produzione continuo, ma bisogna sempre tenere presente, se parliamo di diritti, che il lavoratore non è una macchina o una merce. Da quando il riposo e la festa sono state disgiunte (una volta, soprattutto fino al secolo scorso, i due momenti coincidevano) il pericolo di una deriva materialistica che impedisca ai lavoratori di godere della festa è aumentato in modo esponenziale. Ma quello è il tempo dell’unità in famiglia, del benessere materiale e spirituale, dell’aggregazione, e dev’essere garantito a tutti come il tempo del riposo, che significa recupero fisico. Ecco dunque la necessità di indispensabili garanzie per questa categoria di lavoratori.

Vi è poi un problema di sicurezza, da assicurare ovviamente non soltanto ai clienti ma anche ai lavoratori: si dibatte se il numero di vigilantes presenti all’interno del supermercato sia sufficiente a garantirla, nonostante se le catene dei grandi magazzini aperti di notte mettono in atto anche altri accorgimenti, come l’obbligo di pagare col bancomat o la carta di credito per evitare la circolazione di contante. Senza dimenticare il consumo degli alcolici che dovrebbe essere vietato (a tutti, non solo ai minorenni) di notte (come di fatto lo è, almeno secondo una piccola indagine empirica presso alcuni supermarket, aperti 24 ore su 24). Il divieto di vendita degli alcolici non è proibizionismo, ma è indispensabile per garantire la sicurezza sulle strade.

Per il resto, dobbiamo prendere atto che viviamo in una realtà complessa, in continuo mutamento, con regole di vita che sono cambiate soprattutto negli ultimi anni. Rimanere aggrappati al piccolo mondo antico delle botteghe aperte dalle 9,30 alle 12,30 e dalle 15,30 alle 19,30, dal martedì al sabato, quando gran parte delle professioni si è come parcellizzata, espansa, dilatata a tutte le ore, non regge più. Sarebbe come rimanere sospesi nel tempo.

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