La virtuosa anomalia
politica di Bergamo

Bergamo isola felix? In parte sì: la nostra terra, da questa infinita campagna elettorale per il referendum costituzionale, esce con un volto più adulto.
Resta, nell’ intimo dei bergamaschi, un profilo istituzionale che viene da lontano e che, almeno nei momenti migliori, esce allo scoperto per rivelarsi contagioso, abbandonando per un attimo disincanto e disimpegno. Lo si è visto bene nelle decine e decine di incontri, dibattiti, con platee nutrite disponibili a entrare nel mondo ignoto del costituzionalismo e a smentire così l’ idea che «con le riforme non si mangia».

Partiti, associazioni, organizzazioni di categoria, comitati spontanei: un crescendo ritmico a conferma della consapevolezza che la Costituzione è la «casa di tutti» e che quindi, nel modificarla o meno, si è investiti di una speciale responsabilità civile. Tanto più che sono in gioco anche i rapporti fra la periferia e il centro, fra le autonomie territoriali e lo Stato e si sa bene che Comune e Regione sono i luoghi del vivere dove incrociano i morsi delle grandi crisi di un tempo guastatore.

Temi di casa per la sensibilità bergamasca. La corsa alla partecipazione, se non corale, ha comunque coinvolto ceti sociali diversi, ambienti culturali e il mondo cattolico - senza nulla togliere agli altri - ha fatto la sua parte, sentendosi erede della pagina più nobile della storia repubblicana, scritta peraltro anche da quattro padri costituenti di Bergamo. L’ aspetto meno discusso ma forse più significativo è che c’ è stata la riscoperta della Costituzione, una tacita riappropriazione di un patrimonio comune e che dunque ci riguarda. La virtuosa anomalia della Bergamasca, al pari di tante altre Italie che non fanno notizia, va osservata in quella scissione tristemente spettacolare che abbiamo visto in questi mesi, con ogni probabilità la più brutta e velenosa maratona elettorale in tempi recenti.

Due livelli separati, che confliggono nello squilibrio: da un lato quello mediatico-televisivo, che tende a semplificare in modo radicale dando una chiassosa risonanza ai messaggi più ultimativi, dall’ altro quello di una parte consistente di cittadini che invece ha piacere di saperne di più. Più una conferma che una semplice impressione: i media generalisti, e in particolare la tv, non riescono più a cogliere la varietà di umori dell’ Italia profonda, una domanda di pacata comprensione che sale dal basso. Un Paese piuttosto schizofrenico: vuole approfondire e, nel mentre, c’ è chi insegue i messaggi tipo «scrofa ferita». Aver mobilitato gli elettori, come è successo da noi, è già di per sé un buon risultato per almeno due motivi. Il primo è che il livello di conoscenza di partenza su una materia così ostica non può che essere modesto e del resto chiedere un giudizio di merito è un po’ una pretesa: sia perché la capacità di analisi, per chi la possiede, non è neutra e neppure estranea a valutazioni politiche, sia perché cogliere le implicazioni di fondo di una riforma così complessa è questione per pochi eletti. Il secondo motivo è che, in ogni caso, si fatica a capire in quanto il rumore di fondo porta a enfatizzare più le paure che gli aspetti razionali.

È il gioco perverso del dominio delle emozioni forti, del messaggio catturato dalla semplificazione: da una parte la «svolta autoritaria», dall’ altra l’ instabilità finanziaria e politica. Una cosa, però, s’ è intuita: al di là dell’ esito referendario, si è dentro un processo di cambiamento che riguarda la trasformazione delle democrazie occidentali. In definitiva: con l’ aria che tira, accontentiamoci di quel che s’ è visto a Bergamo, un incoraggiante punto di ri-partenza.

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