Le Crisi aperte
un governo vero

Gentiloni ha tracciato l’invalicabile linea rossa dell’Italia rispetto all’attacco di America, Inghilterra e Francia, appoggiato dalla Nato ma senza la copertura dell’Onu. Primo punto: l’incursione missilistica non è partita dalle basi dell’Alleanza atlantica nel nostro Paese. Secondo: non è il momento dell’escalation, bensì quello della messa al bando delle armi chimiche e il turno della diplomazia. Una risposta misurata, in linea con la tradizione della nostra diplomazia, ancora più sobria della reazione della Merkel che ha parlato di intervento «necessario e opportuno».

Le relazioni internazionali dell’Italia (che sono politica interna), uscite dalla porta, rientrano dalla finestra e il piccolo cabotaggio dei veti che perpetua lo stallo per formare il nuovo governo rappresenta una misera cosa rispetto alla tragedia della popolazione siriana. L’avventura bellica reclama con urgenza, da parte nostra, una dimensione istituzionale del confronto politico in una fase in cui i rapporti fra Usa e Russia sono ai minimi storici e dove l’Europa, tra fratture migratorie e guerre commerciali, procede in ordine sparso.

In gioco ci sono la collocazione dell’Italia, cifra non negoziabile, e la gestione della frontiera del Mediterraneo tornata polveriera. Da 7 anni nel mattatoio siriano si stanno consumando più conflitti che si ripercuotono sul nostro uscio di casa, dove abbiamo investito in diplomazia e in supporto logistico-militare per stabilizzare l’area e razionalizzare i flussi migratori: Iraq, Libia e, forse, nei prossimi mesi Niger. Si capisce così la pressione di Mattarella perché si arrivi ad un governo non qualsiasi, ma nella pienezza dei poteri. Il deteriorarsi della situazione supera i limiti obbligati di un esecutivo per i soli affari correnti. Il percorso è a ostacoli e lo s’è visto dalle reazioni di quasi vincitori del 4 marzo e dalla conferma che Lega e Fi sono separati in casa. Di Maio, su atlantismo ed Europa, è in fase di sganciamento dalle posizioni estreme per accreditarsi come forza responsabile. Salvini rimane esplicito nel suo essere contro questa Europa e nello schierarsi dalla parte di Mosca, salvo apprezzare l’intervento di Gentiloni.

Il capo leghista è sempre lesto a contenere gli opposti nello stesso discorso, ma pure la crisi siriana accentua il contenzioso per la leadership nel centrodestra. Berlusconi è più amico di Putin rispetto a Salvini, ma deve star dentro i paletti imposti dal popolarismo europeo della Merkel, che sono poi quelli rispettati dai governi italiani della scorsa legislatura. Il leader della Lega non ha tabù e il suo sostegno allo zar è funzionale all’Europa alternativa che si sta creando attorno all’Ungheria di Orban: reduce dalla terza vittoria consecutiva, è il capopopolo di quella deriva autoritaria che contagia mezza Europa e che divide la famiglia del centrodestra europeo, titolare delle principali istituzioni di Bruxelles. L’Italia senza governo deve prepararsi a tener botta al vertice europeo di giugno che dovrà decidere la riforma dell’eurozona, avviare la conclusione dell’unione bancaria e ridiscutere il nuovo bilancio Ue che, dopo la Brexit, costringerà i soci ad aumentare i contributi nazionali. In questo contesto la leadership della cancelliera appare affaticata e si avverte lo scarto impresso dal protagonismo di Macron d’Arabia, un alleato-competitore non dimentico di essere prima di tutto francese: anche verso l’Italia, dai migranti al dossier Libia. Con il Medio Oriente in fiamme, non conosciamo ancora il profilo dell’Italia che verrà e se sarà in grado di battere un colpo in un’Europa del «rompete le righe», che si sta rimpicciolendo nell’officina delle piccole patrie.

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