Le ferite della crisi
fanno ancora male

I recenti dati Istat sull’occupazione consegnano una realtà bergamasca che meglio di altre ha saputo reagire alla crisi e al cambiamento di questi anni. Una riduzione continua degli ammortizzatori sociali, una disoccupazione in calo compresa quella giovanile sono sicuramente elementi positivi anche se rimane il segnale d’allarme dell’incremento della disoccupazione nella fascia di età tra i 24 e i 34 anni, periodo della vita fondamentale per la crescita professionale.

Verrebbe da dire, numeri alla mano, che di fatto la nostra realtà è ormai uscita dalla crisi. Sarebbe davvero un errore gravissimo. Il cambiamento di questi anni ha modificato radicalmente la struttura economica e produttiva del nostro territorio con rilevanti ripercussioni non solo sulla quantità di lavoro ma soprattutto sulla qualità del lavoro stesso. La parte innovativa della manifattura bergamasca ha segnato e segna tutt’ora andamenti positivi soprattutto sul versante dell’export. Ma anche da noi è in atto una crescente polarizzazione del lavoro tra settori innovativi e settori, prevalentemente orientati sul mercato interno, che sono ancora in difficoltà. Le ferite aperte da questi lunghi anni di crisi non sono rimarginate.

Cresce il numero di persone e famiglie in difficoltà senza prospettive di lavoro oppure schiacciate nella parte più precaria e poco qualificata dell’economia bergamasca, nella terra di nessuno di tanti settori della logistica, dei servizi e del commercio. Una fascia crescente di marginalità fatta di giovani ma non solo rischia di non avere nessuna voce e nessun punto di riferimento ma soprattutto nessuna via di uscita da questa situazione. Non esiste solo un problema di quantità di lavoro nel nostro territorio, esiste, e occorre che se ne facciano carico tutti, soprattutto un problema di qualità del lavoro. Una sfida fondamentale questa anche per il sindacato. Siamo stati in questi anni troppo concentrati sulle regole del lavoro e davvero poco sull’evoluzione dei contenuti del lavoro stesso. Per questo la sfida che occorre assumere, da parte di tutti, è quella di innalzare il livello qualitativo del lavoro: come accompagnare i processi evolutivi delle professioni con un investimento straordinario nelle politiche del lavoro, nella formazione continua e permanente, nell’apprendistato duale che dovrebbe diventare il contratto di ingresso prioritario per i giovani, in un maggiore governo e indirizzo dell’alternanza scuola-lavoro. Il rafforzamento di un sistema di istruzione e qualificazione del territorio connesso con la realtà produttiva è fondamentale per la creazione di nuovo lavoro di qualità.

Questa azione va rilanciata con forza in tutti gli ambiti con la consapevolezza che parlare di sviluppo dell’economia e della società bergamasca significa affrontare anche gli snodi della marginalità con un mix di azioni tra la qualificazione del lavoro e un welfare più inclusivo. Già nel 2015 il rapporto Ocse segnalava tutto questo come il fattore più importante di debolezza del sistema economico bergamasco. È tempo, anche come organizzazioni sindacali e imprenditoriali, di affrontare questa sfida orientando tutta la nostra capacità e innovazione contrattuale. Dare a tutti i lavoratori la possibilità effettiva di crescere in nuove competenze e investire sulla propria professionalità diventa oggi la vera e fondamentale tutela del lavoro.

Ferdinando Piccinini Segretario Cisl Bergamo

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