Le Poste azienda ok
Adesso l’efficienza

Gli uffici postali nei comuni con meno di 5 mila abitanti non chiuderanno, come era stato previsto. Lo ha annunciato l’amministratore delegato di Poste italiane, Matteo Del Fante, nello stesso giorno nel quale ha presentato un piano industriale che prevede – congiuntamente - alcune migliaia di esodi e assunzioni numericamente quasi equivalenti. La sopravvivenza degli uffici nei paesini e il ricambio nelle file dell’aziende sono due ottime notizie. Sia sotto il profilo economico, sia dal punto di vista sociale. Non capita spesso che ciò accada, specie nel settore dei servizi pubblici. Basta pensare all’inefficienza cronica, e ormai irrimediabile, di Ferrovie dello Stato, le quali hanno dato ennesima prova, in questi giorni, di un’abissale incapacità manageriale e di un disprezzo totale nei riguardi degli utenti.

Consoliamoci, dunque, con le buone notizie postali. L’attuale spa è l’erede di una lunga storia che ha accompagnato generazioni e generazioni di utenti. Le Regie Poste erano uno dei pilastri dello Stato, con la loro presenza negli angoli più remoti d’Italia. Nell’immaginario collettivo, non soltanto il luogo dell’arrivo e della spedizione della corrispondenza, ma anche il salvadanaio del risparmio delle famiglie. Come si sa, le Poste erano e sono il portafoglio della Cassa depositi e prestiti, il forziere di larga parte degli investimenti pubblici per infrastrutture fatti nel Paese.

Oggi Poste italiane sono un’azienda sana e vivace sul mercato finanziario. Gli uffici postali da tempo non sono più quelli dell’iconografia classica, che li voleva luoghi di file interminabili, di procedure complicate, di inerzia burocratica. I servizi sono più rapidi ed efficienti. Sembra lontana l’epoca – che pure ha avuto un peso – nella quale l’allora azienda di Stato era divenuta una sacca clientelare, una sorta di elefante gravato da alti costi e basse prestazioni.

L’inversione di tendenza iniziò nel 1994 con la trasformazione della vecchi azienda in ente pubblico economico. L’allora presidente, Enzo Cardi, fu l’artefice del cambio di rotta, che ebbe come punti chiave, da un lato, il miglioramento dei servizi postali e, dall’altro, l’apertura verso il mercato finanziario. Su questo secondo terreno Cardi avviò un delicato e non facile confronto con l’Associazione bancaria. La potentissima Abi si vide proporre un patto di alleanza, probabilmente non previsto, che metteva sul piatto il punto di forza delle Poste: la presenza capillare in tutto il Paese e, in particolare, nei piccoli paesi e nelle zone impervie. Luoghi nei quali le banche non avevano né la convenienza, né la reale possibilità di essere presenti. Fu un accordo con reciproco vantaggio, destinato a diventare utile soprattutto ai risparmiatori che videro aumentare enormemente le offerte per investire il loro denaro. Nei due ultimi decenni – anche se in modo non lineare – Poste italiane sono riuscite a coniugare l’ammodernamento dei servizi allo sportello con l’offerta di servizi finanziari provvisti di adeguate garanzie. Sono, in questo senso, la banca di gran lunga più affidabile per un pubblico che non ama rischiare i propri risparmi in speculazioni pericolose.

In questo panorama largamente positivo va segnalata un’esigenza di miglioramento che non può e non deve sfuggire ai vertici della società: il problema dei tempi di recapito. Ancora non adeguatamente celeri e, soprattutto, sovente discontinui. Un servizio che troppo spesso, anche nelle grandi città, funziona a singhiozzo. Si tratta di architetture complesse ma che devono essere governate. Ad oggi i tempi per la consegna della posta o delle merci con alta remunerazione per le Poste sono affidabili e, in larga parte, certificati. Non allo stesso livello funziona la posta ordinaria. Su quel fronte c’è ancora da fare. È un dovere per le Poste, poiché esse – benché siano un soggetto giuridicamente privato – sono titolari (per quanto riguarda la posta ordinaria) di un «servizio universale». Cioè, di un servizio che deve essere garantito a tutti, anche se poco remunerativo.

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