Le prove Invalsi
Crescita personale

Qualche giorno fa 560 mila studenti italiani della terza classe di scuola secondaria di primo grado hanno affrontato i test Invalsi di Italiano e Matematica all’interno delle prove previste per l’esame di Stato che conclude il primo ciclo d’istruzione. Nelle ondivaghe politiche scolastiche del nostro Paese dovrebbe essere l’ultima volta di questa modalità di valutazione, avviata nel 2013, che aveva aggiunto alle classiche tre prove scritte (Italiano, Matematica, Lingua straniera), decise a livello locale da ciascuna scuola, i due test di Italiano e Matematica redisposti dall’Invalsi, decisi a livello nazionale e, dunque, identici in tutte le scuole.

Così stabilisce uno dei decreti attuativi della L. 107/15: le prove scritte, dall’anno prossimo, torneranno ad essere tre, tutte quante decise dalla commissione preposta all’interno di ciascuna scuola, mentre i due test Invalsi saranno anticipati ad aprile e costituiranno requisito di ammissione per ciascun allievo all’esame conclusivo del primo ciclo.

Hanno, dunque, avuto la meglio coloro che puntualmente ad ogni somministrazione prevista lungo il percorso di istruzione (classe 2a e 5a primaria, 3a secondaria di primo grado, 2a e 4a secondaria di secondo grado) boicottano le prove Invalsi, ritenendole un’intrusione nel processo valutativo degli apprendimenti dell’allievo e, ancor di più, un subdolo strumento di controllo dell’operato dei docenti?

Non è così, giacché le prove nazionali rimangono nel percorso diacronico di ciascun studente, ma scompaiono nel momento conclusivo del percorso del primo ciclo, correggendo una scelta normativa che non aveva fatto altro che aumentare la problematicità confusiva che circonda, da oltre dieci anni, le prove Invalsi così come vengono presentate e vissute, nel nostro Paese.

Problematicità che sarebbe facilmente superata se fosse chiaro a tutti (docenti, dirigenti e ministero in primis, subito dopo studenti e famiglie) qual è il loro scopo istituzionale e come si intrecciano con la valutazione formativa che la scuola deve esprimere rispetto ad ogni allievo.

Sono due aspetti, diversi ma entrambi indispensabili, della valutazione che caratterizza il nostro sistema nazionale d’istruzione e formazione: il primo è quello della valutazione interna dei diversi apprendimenti (conoscenze, abilità e competenze) che si acquisiscono e si sviluppano a scuola, operata dai docenti, con responsabilità sia individuali che collegiali; il secondo è quello della valutazione esterna, standardizzata e censuaria del livello degli apprendimenti (conoscenze e abilità disciplinari) che mediamente si registrano in determinate classi del nostro sistema d’istruzione e formazione.

Esattamente ciò che accade in tutti Paesi dell’Europa occidentale e non solo: uno sguardo all’allievo che sta dentro al sistema e al suo personale percorso, un altro al funzionamento generale del sistema stesso e ai suoi risultati. Due prospettive che necessariamente si incrociano, per le quali la seconda serve la prima, mai viceversa.

Detto con un esempio: che cosa significa, per l’autovalutazione (obbligatoria e doverosa) di una scuola, sapere che i risultati di apprendimento medi di italiano, di tutti gli allievi delle classi terze della scuola secondaria di primo grado, sono uguali o prossimi alla media nazionale dello stesso livello? E se sono inferiori o superiori? Sarebbe possibile un processo di valutazione senza un termine di confronto, senza uno standard nazionale? Ma quando il docente di italiano, all’esame di Stato che chiude il primo ciclo, valuta il percorso di apprendimento del singolo allievo, tenendo insieme le sue caratteristiche personali, i suoi vissuti personali e sociali, i saperi linguistici e comunicativi acquisiti e la loro trasformazione in competenze indispensabili per affrontare problemi e compiti della sua vita, scolastica e non, trae forse qualche utilità dai dati che gli vengono da uno standard nazionale? No, perché in questo caso lo scopo della valutazione è prioritariamente formativo, è riferito al singolo allievo e alla sua situazione e, per quanto la conoscenza della lingua italiana abbia regole precise da tenere in conto, la valutazione che si fa in questo momento (ma non solo in questo!) è più complessa e considera una pluralità di variabili che nessuna regola generale può raccogliere, proprio perché individuale. Un test può servire in molte situazioni, non è certo necessario quando occorre valutare un percorso di crescita personale.

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