Le strane ferie
del tempo di crisi

Non si può dire che le ferie di questo agosto siano particolarmente euforiche, come del resto tutte le ferie di questa estate. Osservazione banale, tanto è evidente. Ma, come sempre, le cose banali sono di tutti. Ma se sono di tutti, ci interessano. Le cose banali sono interessanti: uno dei tanti paradossi che ci tocca attraversare. Le ferie di questa estate mancano dunque di euforia. Non dispongo di particolari attrezzature mentali per definire che cosa sia esattamente l’euforia.

Ma tutti disponiamo di qualche sensazione che ci permette, forse, di capire. L’euforia è lo stato d’animo dei tempi felici, il lusso dei ricchi. I tempi felici sono figli di una semplicissima certezza: sanno, almeno grosso modo, su che cosa possono contare: che cosa hanno lasciato alle spalle e che cosa devono aspettarsi dal futuro. Diciamo che l’euforia nasce da una tensione, quando si vede o si percepisce un significato dietro il tempo che passa. Ora, non ci vuole molto a notare che è proprio questa tensione che manca oggi. Tutte le notizie ci rincorrono per ricordarci un passato recente molto difficile, di grave crisi economica, di disoccupazione, di tensioni sociali, passato che non è passato, perché pesa ancora, duramente.

In realtà governo, analisti, giornalisti scrutano i dati per segnalare, qua e là, timidi segni di ripresa. Ma la sfiducia che nasce dalle preoccupazioni di oggi è tale da rendere incolori i piccoli segni che annunciano un domani diverso. La mancanza di tensione diventa così un circolo vizioso: la grande crisi ci ha privato della euforia e la mancanza di euforia ci conferma nella crisi, anche quando qualcosa potrebbe far sperare in un futuro diverso. E così ci si trova tra un passato che non passa e un futuro che non arriva.

«Sentinella quanto resta della notte?». Ci si ricorda, soprattutto in questi tempi, dell’immagine straordinaria del profeta Isaia. Solo che la sentinella non è in grado di rispondere: «Viene il mattino, poi anche la notte» (Isaia 21, 12). Perché una risposta simile dice che si dispone di calendari sicuri e di cicli verificabili. La sentinella della nostra città vede solo notte e può soltanto annunciare ciò che già si sa: che la notte continua e che non si hanno informazioni certe su quando davvero finirà. Anche se la sentinella segnala qualche vago segno di luce non le si crede. La sentinella diventa Cassandra.

Ora tutto questo «spiega» – si fa per dire: offre qualche spunto – per capire anche il tono di queste ferie. Tutti dicono che non si possono paragonare le ferie di quest’anno con quelle fragorose e spensierate di altri tempi, ormai abbastanza lontani. In effetti. A questo proposito oggi si è in grado di capire meglio il diverso significato dei termini «ferie» e «vacanze». Le ferie sono previste dal rapporto di lavoro e sono, precisamente, il tempo del non-lavoro, l’interstizio fra il lavoro di prima e quello di dopo. Le vacanze, invece, sono legate a immagini di evasione e di creatività: sono spazi e tempi liberi. Le ferie sono una concessione del contratto e del datore di lavoro, le vacanze sono nostre. Si capisce, quindi che, per poter vivere davvero le vacanze bisogna godere di una dose significativa di libertà: essere liberi o sentirsi liberi. Oggi manca proprio questa sensazione di libertà. Come si fa, infatti, a essere liberi – o a sentirsi liberi – se non si è sicuri di avere il lavoro, se il proprio figlio, finiti gli studi, si trova a spasso, se i soldi non bastano, eccetera eccetera? E allora si parte, magari si va là dove si è soliti andare per le ferie, magari si riesce perfino a organizzare un viaggio. Ma tutto con il pensiero di un dopo che continua a preoccuparci.

Ecco allora un altro paradosso che dice qualcosa del carattere moscio di questo agosto. In tempi di allegria e di euforia le ferie diventano vacanze. In tempo di repressione e di depressione collettiva, le vacanze diventano ferie.

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