Fedele alle origini
La forza dei giovani

Come sarà? Come è sempre stato, fedele alle sue origini, alle sue tradizioni, ai suoi valori. Che sono le origini, le tradizioni e i valori di tutti noi bergamaschi. Sono gli stessi valori e gli stessi ideali che Nicolò Rezzara indicò nell’aprire la strada ultracentenaria di questo «foglio»: verità e onestà intellettuale prima di tutto.

Ogni direttore ha i propri sogni e le proprie ambizioni. A me piacerebbe un giornale fatto con la forza dei giovani, pronti a cogliere le sfide del futuro per ottenere il meglio; un giornale pensato con le intuizioni degli imprenditori che hanno fatto grande la nostra provincia, esempio di capacità, concretezza e innovazione in tutto il mondo; un giornale fatto con la voglia di crescere e di aiutare a crescere, la stessa che le grandi istituzioni bergamasche (alcune ormai solo un ricordo) hanno seguito mettendosi al fianco della nostra terra per farla diventare grande; un giornale scritto con il sudore prezioso di chi lavora ogni giorno per mantenere la propria dignità e la propria famiglia; un giornale capace di guardare i bergamaschi – tutti i bergamaschi – con lo stesso calore e la stessa intensità che il volontariato di casa nostra mette quotidianamente nel prestare aiuto a chi soffre, per malattia o per solitudine. Insomma, mi piacerebbe un giornale fatto da tutti noi, noi e voi insieme, le nostre «penne» e le vostre storie. Non sarà facile, ma il chiamarvi tutti a raccolta attorno al giornale – in un

momento di trasformazione così delicato per il mondo dell’editoria e della carta stampata in particolare – è un invito sincero che, per primi, rivolgo ai sindaci delle nostre comunità: mi piacerebbe incontrarvi uno ad uno, conoscervi, parlare con voi, raccogliere le vostre difficoltà e dare fiato alla vostra gente, cercando insieme possibili soluzioni. Non è retorica, ma la voglia di testimoniare anche così la nostra vicinanza al territorio.

Poi magari litigheremo, qualche notizia vi piacerà di più, qualcun’altra vi piacerà meno, ma questa è un’altra storia. L’Eco di Bergamo è oggi una delle poche istituzioni bergamasche rimaste tali: la nostra porta è sempre aperta ad accogliere le ragioni e i sentimenti di tutti, sapendo però che a guidare le nostre scelte sono valori ben precisi: verità e rispetto dell’altro. Rispetto, sì, perché la notizia è certamente sovrana, ma ogni notizia, anche la più piccola e la più banale, ha dentro di sé una storia, un’«anima», un’anima che va interpretata. Con umanità e rispetto.

Mi piacerebbe che su questo giornale soffiasse con forza lo spirito giovanneo: innovazione nella tradizione. Dall’innovazione non si può più prescindere, in un mondo vorticoso come quello di oggi, ma altrettanto non si possono accantonare i grandi valori che affondano le proprie profonde radici nelle origini di questo giornale, venuto alla luce il 1° Maggio del 1880, data non certo casuale.

E l’innovazione nel mondo dell’informazione oggi viaggia a velocità supersonica, nel segno di una rivoluzione digitale senza sosta, che L’Eco di Bergamo e il gruppo editoriale Sesaab - con i siti Internet del giornale, di Bergamo Tv e di Radio Alta (e i social ad essi collegati) - sta cavalcando ormai da anni, ma che ora intende accelerare con una revisione dei modelli organizzativi e di sviluppo imposti dalle nuove tecnologie digitali e dalla sempre più ampia diffusione delle piattaforme sociali, per dare al lettore nuove modalità per «leggere» l’informazione. Ma con un aiuto in più, per far emergere i significati più importanti dal rumore di fondo in cui siamo sommersi nell’era digitale - spesso senza nemmeno accorgercene - e permettere così una lettura chiara degli eventi che si susseguono. Per noi, essere digitali vuol dire essere il più vicino possibile ai nostri lettori, raggiungerli nel più breve tempo possibile e con un alto livello di qualità.

Ma per il mondo de «L’Eco» digitale vuol dire anche appiattire le gerarchie e costruire un ambiente che incoraggi la generazione di nuove idee. Se n’è parlato nei giorni scorsi a proposito del discusso tweet del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, sull’uscita della Gran Bretagna dall’Europa: siamo persone molto più informate – ci dice l’Ipsos – ma paradossalmente meno dotate di senso critico, col risultato che, alla fine, prevale la percezione rispetto alla realtà, l’emotività sulla razionalità. E i giornali, su questo, hanno una grande fetta di responsabilità. A me, e a L’Eco, piacerebbe cercare di invertire questo pericoloso processo, investendo in una informazione capace davvero di dare gli strumenti utili per capire fino in fondo la realtà delle cose. Più consapevolezza, più capacità di affrontare – e risolvere – i problemi. Già molti anni fa, Dennis Redmont, giornalista statunitense finalista al premio Pulitzer del 1978, scrisse che «i giornalisti devono riscoprire e assumere il senso della responsabilità sociale nei confronti del lettore»: quel momento è arrivato e riuscire ad imporsi in questa sfida nell’era di Facebook sarebbe un risultato persino epocale.

Arrivato a questo punto, i ringraziamenti. Dovuti fin che si vuole, ma sinceri e leali. Li devo al vescovo, monsignor Francesco Beschi, che nell’affidarmi la direzione de L’Eco mi ha chiesto un giornale libero da pregiudizi, aperto ed equilibrato, lasciandomi grande libertà. Li devo all’amministratore delegato, Massimo Cincera, che ha condiviso questa scelta senza alcuna riserva. Li devo ai miei predecessori, da Giorgio Gandola a monsignor Andrea Spada, che per primo (con a fianco Renato Possenti) mi regalò la possibilità di fare questo mestiere. Oggi, nel prendere anch’io l’acqua dal pozzo de L’Eco, non posso dimenticare i sacrifici e la bravura di chi ha saputo scavare così in profondità.

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