L’educazione civica
ritorni tra i banchi

Educazione civica a scuola, ovvero l’eterno ritorno di un tema che sembra non trovare soluzione. E dire che già in Assemblea Costituente, su proposta
di Aldo Moro, si approvò (all’unanimità!) un ordine del giorno per cui la nuova Carta costituzionale doveva trovare «senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado». L’occasione per tornare a parlarne è una proposta di iniziativa legislativa popolare, promossa dall’Anci (Associazione dei Comuni italiani) e finalizzata a introdurre l’educazione alla cittadinanza come disciplina autonoma nelle scuole. Si chiede cioè che il Parlamento approvi una legge in cui si prevede, tra l’altro, che sia «istituita un’ora settimanale di educazione alla cittadinanza come disciplina autonoma con propria valutazione, nei curricoli e nei piani di studio» con monte ore non inferiore alle 33 ore annuali. Secondo lo schema dell’articolo 71 della Costituzione, l’iniziativa popolare potrà svolgere i suoi effetti di avvio dell’iter legislativo parlamentare solo se saranno raccolte (in appositi banchetti o nei Comuni), a suo sostegno, almeno 50.000 firme di cittadini (entro l’inizio di gennaio).

Solo così l’iter potrà prendere concretamente avvio, benché, statisticamente, l’iniziativa popolare abbia scarse probabilità di diventare legge. Sembra dunque una sfida persa in partenza, eppure vale la pena provarci... Anzi tutto perché l’iniziativa proviene - questa volta - dai Comuni e dai cittadini e cioè da una saldatura dei due «serbatoi» della riserva democratica del Paese; non cioè da un partito o dall’altro, ma dalle fonti rinnovabili di una democrazia dal basso, costituzionalmente ispirata, resa vitale dalla partecipazione e non appiattita sulla delega. È tempo di aprire gli occhi sul fatto che la crisi - sin troppo lamentata - della democrazia non si supera con l’attesa messianica di nuovi leader, sbucati chissà da dove, e tanto meno con l’erompere dell’uomo forte che metta un freno a un presunto eccesso di libertà (quelle altrui, ovviamente). Nemmeno si può affrontare con operazioni di stravolgimento costituzionale, destinate, come si è appena visto, a dividere più che a creare un nuovo spirito unitario. L’urgenza è proprio quella di lavorare a un consolidamento di base del tessuto democratico, nella direzione di valorizzare il contributo che ognuno può dare all’edificazione di una società più giusta.

La democrazia ha bisogno, più che di spingere i cittadini ad agitarsi per occupare la scena del potere, di educarli a riconoscere il valore e la potenzialità del loro apporto, anche di quello più umile e oscuro, all’edificazione di una convivenza umanizzata. L’impegno sociale, il tempo di cura e di volontariato, il lavoro sono tempi e occasioni di democrazia, per la democrazia, non interstizi irrilevanti o oggetti di decisione del potere. In questa direzione, l’educazione alla Costituzione, in quanto legge fondamentale; alla cittadinanza, in quanto senso di partecipazione a un compito cooperativo; e alla legalità, come rifiuto della corruzione e della prevaricazione, rappresenta un presupposto fondamentale, non un vezzo o un lusso. La cosa che convince di questa iniziativa è che non è «contro qualcuno»; essa è rivolta a ogni cittadino che abbia a cuore il futuro della democrazia e non ceda al pessimismo o, peggio, a un cinico disincanto. Finalmente si potrebbe garantire, almeno alle giovani generazioni di domani, quello spazio di apprendimento critico, riflessione e confronto sui fondamenti giuridici ed etici della convivenza che a molti è mancato…

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