L’Euro forte,
giro di boa

Negli ultimi tre mesi l’euro ha guadagnato quasi l’8% sul dollaro. La valuta europea si rafforza in previsione di un ritorno alla normalità, cioè ad una graduale progressione dei tassi di interesse della Banca Centrale Europea a partire dal 2018. Un tasso negativo del -0,4% per i depositi presso la Bce è il segno di un’emergenza. Il segnale che viene da Francoforte indica che si è a un giro di boa. Una valuta forte non è nella tradizione italiana. Sino all’ingresso nella moneta unica la svalutazione competitiva era lo strumento con il quale si stava sui mercati. Appena i prodotti made in Italy perdevano in capacità attrattiva ecco che la perdita di valore della moneta compensava la scarsa competitività.

Il risultato era un’industria sotto scacco non incentivata ad innovare. Le rendite di posizione trovano vantaggio da una politica di questo genere. Basta avere un buon rapporto con i partiti di governo e prima o poi i maggiori costi e le inefficienze vengono azzerati dal colpo di spugna valutario. Questo spiega il ritardo accumulato prima dello scoppio della crisi da una buona parte dell’industria italiana.

Adesso secondo gli osservatori l’industria manufatturiera sta crescendo del 2% circa e negli ultimi tre anni le esportazioni sono cresciute il doppio rispetto all’aumento delle importazioni del resto del mondo. Il fenomeno riguarda le imprese a maggior vocazione internazionale. Per queste aziende un apprezzamento regolare della moneta non è un dramma . Hanno investito in innovazione e in ricerca, migliorato la produttività, sanno quindi stare sul mercato con le proprie gambe . Lo fanno perché così garantiscono sicurezza nel tempo ai propri affari e non hanno bisogno di aiuti esterni. Nel panorama italiano hanno un valore strategico ma da sole non sono in grado di portare fuori il Paese dalle secche di una crescita anemica. Sono circa un quarto del settore produttivo, gli altri due quarti delle aziende soprattutto medio piccole sono ancora nel guado e fanno fatica a riconvertirsi. Per l’ultimo quarto parlano i fallimenti e i licenziamenti di questi anni. Ne consegue che forte è ancora la tentazione di poter godere di un cambio debole per supplire alla scarsa competitività.

Va tenuto presente che il settore manufatturiero è il solo comparto ad essere esposto alla disciplina dei mercati. Come rilevato dalla pubblicistica di grande divulgazione il mondo dei servizi ha un numero di addetti tre volte superiore a quello industriale. Ma qui dal 2010 i costi di produzione anziché diminuire sono aumentati . E del resto il fenomeno è chiaramente percepibile anche dalle bollette di acqua e rifiuti che i cittadini debbono onorare. Lo stesso turismo non riesce a produrre valore aggiunto. È parcellizzato in micro aziende, usa in modo non adeguato il web, e soprattutto si adagia all’idea che sia il cliente a cercare l’albergatore e non l’imprenditore turistico a creare servizi nuovi ai clienti. Avere mari e monti, bellezze artistiche incomparabili non basta. La Francia ha il doppio di turisti dell’Italia ma non certamente le bellezze della penisola. E qui tocchiamo il punto che siano gli hotelier, le piccole imprese, i servizi pubblici non cambia la priorità che li accomuna: servono idee.

Uno sviluppo fondato sull’innovazione, vuol dire rimboccarsi le maniche e ripartire da zero. In un Paese vecchio dove un quinto degli italiani ha più di 64 anni, ricco con una quota di risparmio tra le più elevate, densamente popolato e in difficoltà per eccesso di procedure burocratiche far partire una nuova ricostruzione non è semplice. Il successo imprenditoriale di molte aziende dimostra che è possibile. Ad una condizione: che le difficoltà siano sprone ad agire e non a piangersi addosso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA