L’Europa ritrovi
lo spirito di Ventotene

Sulle celebrazioni per i 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma è calato il sipario. Consumatasi, in breve tempo, l’eco mediatica dei discorsi, delle strette di mano e dei sorrisi (sinceri o forzati che fossero), i governanti riprendono a occuparsi dei problemi, che c’erano e che restano sul tappeto. A cominciare dalla delicatissima vicenda della Brexit, che ieri ha avuto il suo formale inizio con la lettera della premier inglese recapitata a Bruxelles. Uno scenario complesso, pieno di incognite e con problemi irrisolti il cui elenco si infittisce ogni giorno di più.

La crisi economica che attanaglia ancora, con i suoi colpi di coda, alcuni Paesi (tra essi l’Italia) nei quali la ripresa è tuttora lenta e incerta. Le incertezze del mercato del lavoro, in un mondo nel quale la competizione globale sta sradicando antiche certezze e sta mettendo in crisi i paradigmi essenziali del Welfare State. I processi migratori, con l’impatto che stanno avendo sui principi di libertà, solidarietà e fratellanza tra le genti, che sono a fondamento dell’idea stessa di Europa unita. Il conseguente risorgere dei nazionalismi, con il ringalluzzirsi di forze e movimenti politici xenofobi, venati di connotazioni razziste. Infine, ma non ultima per criticità, la minaccia terroristica che scuote la sicurezza dei cittadini, induce a rinchiudersi in un guscio di paura, fomenta l’odio e inasprisce gli animi. La somma di tali questioni alimenta inevitabilmente le divisioni, divarica gli orizzonti, tende a far esplodere le tensioni tra i popoli, a inasprire le lacerazioni sociali anche all’interno dei singoli Stati.

Questo lo scenario presente, dal quale non si può prescindere. Di fronte a tale situazione, le giornate che hanno visto sul proscenio i leader dell’Unione non sono state solamente «vacanze romane». Pur senza indulgere in sterili trionfalismi, è plausibile ritenere che l’essere arrivati ad una dichiarazione congiunta – benché «annacquata» - firmata dai capi di Stato e di governo dei 27 Paesi dell’Unione, sia un risultato positivo. Con l’aria che tira non era lecito sperare di più. Anche la teatralità voluta di alcuni gesti – si pensi alla plateale enfasi con la quale la premier polacca ha posto la sua firma sull’accordo – va ritenuta un elemento non trascurabile, perché indica la volontà precisa dei governanti europei di mostrare che l’Unione europea (come scelta di fondo) non viene messa in discussione. A pochi mesi dalla decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione, la sigla dell’accordo serve a rinsaldare le fila dei Paesi aderenti al progetto di costruzione di un’Europa unita. Con il progetto di ripartire con un diverso ruolino di marcia e, per usare un’immagine calcistica, con un diverso schema di gioco. La prospettiva di un meccanismo a «velocità differenziate» nei processi di integrazione nel decennio che abbiamo di fronte definisce, di per sé, una significativa modifica nella rotta seguita finora.

Certo, si può facilmente osservare – e molti rimarcano, non senza ragioni, tale aspetto – che alcune forzature nel processo di allargamento dell’Unione non hanno dato buoni frutti. In particolare il Trattato di Nizza del 2001 ha finito per provocare un rischioso sbilanciamento in avanti nel delicato processo di unificazione. Si è trattato di un calcolo sbagliato del quale si sta pagando il prezzo. Di fatto, i governi – con lo schema delle diverse velocità – sono adesso impegnati in un’azione di ricucitura «a ritroso» divenuta ormai indispensabile, ma che si sarebbe evitata se si fosse seguita la strada di allargamenti più cadenzati nel tempo e preparati con maggiore cura. Pensare che il processo di riallineamento, teso in primo luogo a sconfiggere le ondate populiste e «sovraniste» presenti in larga parte dei Paesi dell’Unione, possa essere rapido è del tutto illusorio. Al momento le emergenze da affrontare sono di natura eminentemente politica: evitare che nelle tornate elettorali da qui alla fine del prossimo anno vincano i partiti contrari all’unificazione europea. A tal fine i leader dei maggiori Paesi dovranno dare dimostrazione di lungimiranza, evitando di avvitarsi, loro per primi, nella palude delle convenienze elettorali di corto respiro. Soltanto così, si potranno sconfiggere i populismi. Ciò implica riformulare le strategie complessive dell’Unione, accentuandone il carattere di inclusione e di attenzione alle questioni sociali. E, al tempo stesso, mettere la sordina alle petulanze ragionieristiche di alcuni esponenti della Commissione europea e del governo tedesco, per far riemergere la centralità dei problemi del livello di vita dei cittadini, dei loro diritti, della solidarietà tra le Nazioni come fulcro della solidarietà tra i popoli. Riprendere il cammino da dove era cominciato: dall’idea visionaria nata a Ventotene.

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