L’europa vara la missione
ma resta al largo

Certo, suona più internazionale, diciamo pure meno liceale, della nostra Mare Nostrum. Ma di EuNavForMed, la missione marittima europea varata nelle scorse ore dal Consiglio dei ministri degli Esteri e della Difesa dei 28 Paesi Ue, per ora si può apprezzare soprattutto una cosa: che esista, che sia stata decisa. Per il resto bisognerà attendere e sperare in bene. Sia a causa dell’impostazione della missione, sia per i giochi della politica europea che possono condizionarne l’eventuale svolgimento.

Scopo di EuNavFor Med, come ha più volte ripetuto (anche ieri sera, con il tweet ormai di prammatica) Federica Mogherini, alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, è «distruggere il modello di business dei trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo». Per farlo, essendo escluse le operazioni militari sul suolo della Libia, saranno impiegati navi, aerei ed elicotteri per intercettare e bloccare in mare i barconi carichi di migranti. Tempi al futuro perché per questo genere di azioni, dette «di forza», serve comunque l’autorizzazione dell’Onu che, si spera, dovrebbe arrivare in tempo utile per far approvare la missione dai capi di Stato e di governo al Consiglio europeo che si terrà a Bruxelles il 25 e 26 giugno.

Questo il quadro generale. Il fine, come si vede, è di «distruggere non le barche ma le organizzazioni dei trafficanti», secondo un altro assioma della Mogherini. Per cui è previsto che i migranti trovati sui baroni intercettati in mare vengano salvati, raccolti e portati al più vicino approdo. E qui spunta l’altra questione, quella politica. Nelle stesse ore in cui EuNavFor Med veniva ufficialmente decisa, una lunga serie di Paesi della Ue provvedeva con tempismo a pugnalarla alle spalle.

Torniamo al «più vicino approdo» di cui si diceva: è uno solo, l’Italia. Che può certamente prestarsi alla bisogna, sapendo però di poter contare su un sostegno collettivo. In altre parole: sapendo che gli altri Paesi europei sono pronti a prendersi in carico, con il famoso sistema delle «quote», la loro parte di migranti e richiedenti asilo. E invece che cosa succede? L’Ungheria dice che non se ne parla, e con lei ci sono Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, i Paesi baltici e la Gran Bretagna. La Francia dice che quella delle quote non è certo un’idea sua e la Spagna già chiede di rivederle.

Mezza Unione europea, insomma, già s’impegna per mandare tutto a carte all’aria. Perché una cosa è chiara: se i migranti salvati in mare non saranno redistribuiti tra i 28 Paesi, EuNavFor Med non sarà altro che una Triton potenziata. Una versione appena più muscolare della missione che, facendo finta di sostituire Mare Nostrum, ha regalato all’Italia un bel 15% di sbarchi in più e tanti altri morti al mare.

E a poco servirà, in quel caso, che il comando della missione sia a Roma. Perché a mettere soldi e mandare navi ed elicotteri son buoni tutti, e infatti a Bruxelles c’è già la coda: Spagna, Gran Bretagna, Francia e Germania hanno promesso navi, Polonia e Slovenia elicotteri, tutti fanno sapere che i fondi sono quasi illimitati. Ma ad accogliere i migranti no: tutti sperano che a riceverli, e magari anche a tenerseli, sia solo l’Italia.

Con un rischio in più: l’intromissione della Nato, che non vede l’ora di mettere il naso nel Mediterraneo e nei Paesi che lo circondano. Il segretario generale Stoltenberg pungola la Ue ad agire e offre aiuto, usando come motivazione il rischio che sui barconi salgano anche i terroristi. Non è mai successo e non vi sono prove che succeda. Ma tutto fa brodo con la tremebonda Europa, dove Paesi di decine di milioni di abitanti hanno paura di qualche migliaio di africani.

© RIPRODUZIONE RISERVATA