L’inno alla pace
del Papa a Fatima

Prima di partire aveva spiegato che sarebbe andato a Fatima per invocare la pace per il mondo intero, perché quella Signora vestita di bianco apparsa a tre pastorelli analfabeti aveva chiesto cento anni fa, nel pieno della furia di un conflitto mondiale che avrebbe fatto milioni di morti, di pregare per la pace.E così ha fatto, viaggio essenziale, anzi pellegrinaggio insieme a mezzo milione di persone e lui, il Papa, uno in mezzo a tanti, solo per rafforzare la fede della gente, vera protagonista della missione a Fatima.

Bergoglio è andato a sostenere chi continua a chiedere la pace, nonostante tutto, quel popolo dei santuari dal quale si alza una preghiera semplice e a volte considerata poco utile, forse perché troppo umile, preghiera che non si fa tante domande, ripetitiva eppure potente come quella del Rosario, che vale mille parole.

Due cose hanno segnato il pellegrinaggio: il silenzio e la preghiera. Il silenzio del Papa e della folla e la preghiera del Papa e della folla. L’obiettivo era uno solo: la pace e la concordia tra i popoli. Bergoglio ha usato verbi al plurale, nella consapevolezza che l’intero popolo di Dio, se crede al Vangelo, può fare la differenza: «Abbatteremo tutti i muri e supereremo ogni frontiera, uscendo verso tutte le periferie, manifestando la giustizia e la pace di Dio».

In poche righe c’è l’essenziale del Pontificato di Francesco. C’è l’analisi delle contraddizioni di un mondo che ritiene la pace ormai cosa ovvia e ne afferma la necessità in ogni momento, ma contemporaneamente ne misura l’incoerenza con l’aumento delle diseguaglianze che portano a nuovi conflitti, la produzione e il commercio delle armi e rapporti economici drammaticamente asimmetrici. La pace è lontanissima per milioni di persone nel mondo, ma solo l’elaborazione bergogliana del concetto di «guerra mondiale a pezzi» è riuscita a mettere il mondo davanti alla contraddizione. Adesso quel concetto è deposto ai piedi della Madonna di Fatima, perché il senso del messaggio delle apparizioni alla Cova di Iria, come scrisse il cardinale Ratzinger nel Duemila, è quello di «mobilitare le forze del cambiamento in bene».

Francesco ha smontato, speriamo definitivamente, ogni speculazione sulle apparizioni di Fatima. Non ha indugiato su segreti veri o presunti, non ha fatto nuove dichiarazioni dogmatiche, neppure ha confermato che tutto è già stato svelato. Ci ha pensato il Segretario di Stato Pietro Parolin alla vigilia del viaggio a ripeterlo, quasi sbuffando. A Bergoglio e alla gente interessa altro. La devozione popolare, quella vera, non si nutre di intrighi e di indagini di 007 ecclesiastici. Né ci sono Madonne che valgono di più se sono velate da fumi di misticismo con contorni di presunti interpreti più o meno autorizzati del mistero. Francesco ha fischiato la fine con le parole di Paolo VI: «Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale e provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù». Il dito della Madonna dunque indica il Vangelo. E solo quello.

Tutto il resto è speculazione: «La Madonna non è una santina alla quale ricorrere per avere favori a basso conto». È invece una guida che illumina la strada, essendo stata la prima testimone del Vangelo e la prima che ha messo i suoi passi nei passi di Gesù. Dentro quel fascio di luce bisogna camminare per trovare le ragioni per mobilitarsi, ha spiegato a Fatima il Papa, contro l’indifferenza di un mondo in guerra perennemente, anche se a pezzi. Dentro quella luce devono procedere i cristiani se non vogliono essere «una speranza abortita».

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