Lo spariglio di Calderoli
per salvare la Lega

La Lega toglie dal logo la parola «Nord» e, in contemporanea, Roberto Calderoli passa al gruppo Misto. Visto così, sembra (ad un’ingannevole prima vista) un rapporto causa-effetto sia per la svolta nazional-sovranista di Salvini sia per la biografia del senatore bergamasco, figura storica del movimento e legato da sempre all’identità autonomista. Non è così: il rebus riguarda il salvataggio delle casse della Lega. La vicenda, per sequenza temporale, cade nel pieno del confronto interno dopo il referendum in Lombardia e in Veneto, che ruota attorno alla condotta da tenere nella trattativa con il governo, alla linea non sempre coincidente fra Maroni e Zaia e alle stesse prospettive della virata nazionale del segretario. Cambio di marcia che resta confermato e sostanzialmente condiviso dal gruppo dirigente, con l’eccezione di un isolato Bossi.

La questione Calderoli narra il versante cassa. Non è il pendant di destra dello strappo a sinistra della seconda carica dello Stato, Grasso, che ha lasciato il Pd in dissenso sulla nuova legge elettorale. Colpisce la coincidenza di tempi, e pure gerarchica, fra la decisione del presidente del Senato e del vice presidente, ma è soltanto un curioso sincronismo che inizia e finisce lì. In realtà il passo di Calderoli non è «contro», ma «per» la Lega. Alla riunione del Consiglio federale non ne ha parlato più di tanto, ha solo annunciato la sua mossa, rassicurando con un «fidatevi». In sostanza dal cilindro del senatore, uomo spesso imprevedibile ma che conosce alla perfezione regolamenti e passaggi parlamentari, è sortita un’iniziativa legata al blocco dei conti deciso dal tribunale di Genova al termine del processo di primo grado che ha condannato Bossi e l’ex tesoriere Belsito. Potrebbe essere, in prospettiva, il primo passo per la costituzione di un gruppo parlamentare parallelo alla Lega, o qualcosa del genere, e, come tale, abilitato a ottenere i relativi finanziamenti. Il partito di Salvini, infatti, ha un problema molto serio in relazione alla pronuncia giudiziaria: non può ricevere nuovi contributi perché finirebbero nel blocco della magistratura, non può avere accesso al credito. Stop anche per il 2 per mille e per il 26% delle detrazioni sui versamenti volontari. Come dicono al quartier generale lumbard, Calderoli s’è «sacrificato» per contenere le ricadute della sentenza e per inventare qualcosa che assomigli ad un’alternativa praticabile, confidando sulla propria fantasia normativa: cosa che, in questi anni, non gli è mancata. In sostanza, si tratterebbe di costruire una «ruota di scorta» per consentire al partito di sopravvivere dal punto di vista finanziario. Un’estrema risorsa affidata al responsabile organizzativo del partito, un veterano del parlamento: è entrato con la prima ondata, quella della spallata lumbard del ’92, insieme a Giovanni Ongaro, Silvio Terzi e Antonio Magri. E’ vero - e si capisce scorrendo la sua storia personale - che ha faticato un po’ a digerire l’uscita dai confini padani, ma s’è poi allineato e lo stesso è avvenuto, venerdì sera, sulla questione del «Nord» che non c’è più nel simbolo, archiviazione di cui si parla da un po’ di tempo. Anche se alle prossime Regionali si confermerà «Lega Nord-Lega Lombardia». Il Carroccio mantiene qualche tratto indecifrabile e non si lascia facilmente scrutare dall’esterno, comunque i rapporti di forza interni sono tutti a vantaggio di Salvini, pur nel quadro di una dialettica fra le due anime del movimento. E in attesa di osservare l’esito del protagonismo di Zaia che, nella geografia interna, rimane finora nel perimetro veneto. Resta da capire come si risolverà, e in che modo, l’inedito spariglio di Calderoli. Il primo caso del genere nel partito che fu di Bossi: un enigma tecnico, il tentativo di un’uscita di sicurezza non necessariamente più semplice di un rompicapo politico.

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