Lo stallo politico
un gioco di nervi

Per il momento l’unica data certa è la convocazione della Camera e del Senato per la mattina di venerdì 23 marzo. Per il resto, è buio. Deputati e senatori sono chiamati ad eleggere i loro presidenti – vale a dire la seconda e la terza carica dello Stato – con metodi regolamentari diversi: più velocemente al Senato, dove già al quarto scrutinio si passa al ballottaggio tra i primi due votati; più complesso alla Camera dove non c’è limite agli scrutini e si va avanti fino a che uno dei contendenti non totalizzi la maggioranza assoluta. Va da sé che per arrivare al risultato occorre un accordo che riguardi entrambi i rami del Parlamento, un accordo tra più partiti perché nessuno dei vincitori ha la maggioranza assoluta delle assemblee.

.Ma questo accordo («non facile» ammette Di Maio) non c’è ancora, scricchiola ed è sottoposto a troppi tatticismi. Sappiamo soltanto che il M5S, in quanto primo partito, rivendica per sé la poltrona più alta di Montecitorio e che la Lega fa altrettanto per quel che riguarda il Senato. Ma sembra che Di Maio abbia meno problemi di Salvini ad imporre questa sua richiesta. Perché Salvini deve vedersela con Berlusconi il quale non ha alcuna intenzione né di cedergli la poltronissima di Palazzo Madama né di accettare che il capo leghista si presenti e si comporti come «il capo del centrodestra». Basta ascoltare le voci degli esponenti di Forza Italia per sentire proteste e avvertimenti: «Lui è il capo del suo partito, punto e basta» dice Francesco Paolo Sisto. «Se continua così, salta tutto» mette le mani avanti Renato Brunetta. Il punto è che Berlusconi, in vista di un possibile incarico a Salvini, vuole che un uomo del suo partito diventi il successore di Piero Grasso, e in questa veste mettersi in prima fila per ricevere da Mattarella l’eventuale mandato a comporre un governo istituzionale, qualora lo stallo dovesse arrivare a quell’ultima soluzione.

Il candidato ideale del partito azzurro c’è, ed è Paolo Romani: parlamentare esperto, già capogruppo, stimato trasversalmente per le sue posizioni moderate e ragionevoli, dotato oltretutto di uno standing adatto ad essere il numero due della Repubblica (che sostituisce, se necessario, il capo dello Stato: non va dimenticato). Ma su questo punto nel centrodestra le tensioni stanno crescendo di ora in ora: Salvini rilascia dichiarazioni tranquillizzanti salvo poi far dichiarare ai suoi portavoce che Forza Italia non si deve mettere di traverso se non vuole che le cose precipitino. L’impressione è che la coalizione di centrodestra - che è riuscita, sia pure a fatica, a rimanere unita in campagna elettorale e a conquistare il primato elettorale in quanto alleanza tra partiti - ora stia andando pericolosamente in tensione. Berlusconi proverà a spaccare la Lega? O sarà Salvini a rompere il patto e a portarsi via un po’ di deputati berlusconiani? Le domande che girano in Transatlantico sono queste e riguardano non solo le presidenze parlamentari ma subito dopo la formazione del governo. Che, naturalmente, è ancora tutta in aria: si va avanti a minacce per vedere l’effetto che fa. La prospettiva delle elezioni a breve termine, per esempio, viene agitata sia dai grillini che dai leghisti per spaventare Forza Italia e Pd per forzarne la volontà. Idem per un possibile governo coi Cinque Stelle che Salvini evoca al solo scopo di vedere «l’effetto che fa». È in corso insomma un gioco di nervi che andrà avanti non poco e che comincia ad allarmare i partner europei: la preoccupazione che è stata manifestata a Parigi nel corso del bilaterale Macron-Merkel ne è un chiaro sintomo, il primo probabilmente di una lunga serie. Nel frattempo Paolo Gentiloni continua a governare: ieri il Consiglio dei ministri ha varato i decreti attuativi della riforma penitenziaria firmata dal ministro della Giustizia Orlando. «La cancelleremo appena andremo al governo» ha annunciato bellicosamente Salvini. Già, ma quando?

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