Ma le vacanze non azzerano
i problemi sul tappeto

In partenza per qualche giorno di vacanza, Matteo Renzi ha dovuto occuparsi della lite nel governo sulla gestione del flusso migratorio, tema delicatissimo – anche elettoralmente – che contrapponeva due ministri di primo piano, Minniti e Delrio, l’uno sostenitore di una linea «dura», l’altro più sensibile alle ragioni delle organizzazioni umanitarie. Alla fine tra Renzi, Gentiloni e soprattutto Mattarella, si è trovato un modo per tamponare la ferita confermando tuttavia che la linea dell’esecutivo è quella del ministero dell’Interno che tende a ridurre il flusso migratorio in partenza e anche per questo impone regole alle Ong attive nel Mediterraneo. La pace è stata facilitata da Renzi, in veste di segretario del Pd, organizzata da Gentiloni e soprattutto benedetta da Mattarella che ha fatto rientrare le dimissioni di Minniti con un lungo elogio al suo operato.

Tutti questi personaggi ritroveranno il problema esattamente negli stessi termini al rientro dalle brevi vacanze. Tutti però, da Mattarella in giù, avranno lo stesso obiettivo: stringere le fila, tenere il governo attivo e unito, non perdere il vantaggio che le buone notizie sull’economia (aumento consistente della produzione industriale da ultimo) stanno recando alla coalizione aprendo la strada ad una legge di stabilità centrata sulla crescita. La stessa coalizione, ormai è praticamente certo, affronterà unita la prova delle elezioni siciliane di autunno: il centrosinistra in alleanza con Alfano – che, corteggiato da Berlusconi e da Renzi, alla fine ha scelto quest’ultimo – dovrà provare a spuntarla sugli avversari: sui grillini, i vincitori della vigilia, e sul centrodestra monco di quel 10 per cento che gli alfaniani raccolgono nella Trinacria. Il fatto che si sia riproposta a Palermo la stessa alleanza di Roma getta una luce di ottimismo sulle elezioni regionali, quantomeno non ci dovrebbe essere una sconfitta rovinosa e non dovrebbero essere pregiudicate le vicine elezioni politiche di primavera.

Dopo la Sicilia e ovviamente prima delle politiche, i partiti cercheranno di mettere di nuovo mano alla legge elettorale per soddisfare la richiesta del Capo dello Stato di andare a votare con delle norme che abbiano un minimo di razionalità comune e che non gettino l’Italia nell’ingovernabilità alla spagnola o alla belga. È dubbio che davvero i partiti riescano nell’impresa già fallita di trovare un accordo, ma una cosa è certa: mentre il vecchio patto Renzi-Berlusconi-Grillo sul sistema alla tedesca vedeva Alfano come vittima sacrificale, donatore di voti ai partiti più grandi, dopo l’alleanza Pd-Ap per la Sicilia uno schema del genere non si potrà riprodurre. Il ministro degli Esteri tra le condizioni che ha posto per l’alleanza regionale ha insistito proprio su una legge elettorale che non lo mortifichi e che non consideri il suo patrimonio elettorale come un tesoretto da spartirsi. Come potrà allora Berlusconi continuare ad insistere con Renzi per ritirare fuori dal cassetto proprio il sistema «alla tedesca»?

Nell’isola, senza Alfano, il Cavaliere marcerà insieme alla Meloni e a Matteo Salvini: anche questo avrà la sua ripercussione nazionale su un’alleanza che non trova ancora un proprio equilibrio e la costringe al tatticismo. Ma in Sicilia chi si gioca la partita più grossa è sicuramente il partito penta stellato, il vincitore designato che tutti puntano a far ruzzolare. Conquistare Palermo per Grillo significa mettere davvero una pesante ipoteca su Palazzo Chigi: basterebbe una vittoria del genere a far dimenticare tutti gli errori, le contraddizioni, le inadeguatezze e le fratture di una dirigenza politica ancora acerba e impari alle sue responsabilità. Per essere certi di batterli, i partiti di governo avrebbero bisogno di un’economia la cui ripresa fosse visibile non solo nei grafici dell’Istat ma anche nelle case e nelle famiglie, cosa che ancora evidentemente non è, tanto è vasto il disagio sociale. È questa la grande incognita d’autunno: in tutta Europa le forze populiste negli ultimi diciotto mesi sono state sconfitte, ma non è detto che l’Italia non costituisca un’eccezione.

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