Ma l’Onu riflette
lo stato del mondo

Ah, l’Onu! Non funziona, spende troppo e male, parla e non agisce, se agisce combina guai. Questo, in soldoni, è ciò che in genere si pensa dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, fondata il 24 ottobre del 1945, insignita del premio Nobel per la Pace nel 2001 e oggi arrivata a raccogliere e rappresentare 193 Stati sui 196 riconosciuti sovrani nel mondo. Anche Donald Trump, presentandosi all’Assemblea generale per il suo primo discorso da presidente, non ha resistito alla tentazione di farsi precedere dalle critiche all’Onu e al suo modo di essere.

E anche lui, come altri leader in precedenza, è stato poi catturato dalla solennità del tutto, dalla forte carica simbolica che investe chiunque entri nel palazzo sulla 42ª strada di New York. Non dobbiamo dimenticare che le Nazioni Unite nacquero non dal nulla ma dalle macerie di un’organizzazione che aveva gli stessi scopi: la Società delle Nazioni, fondata alla fine della Prima guerra mondiale (28 giugno 1918) e cancellata alla fine della Seconda guerra mondiale (19 aprile 1946) avendo clamorosamente fallito nell’intento principale, che era appunto quello di prevenire le guerre e controllare gli armamenti.

Se applicassimo gli stessi criteri alle Nazioni Unite, dovremmo dichiarare un altro e persino più clamoroso fallimento. Rispetto alla realtà quotidiana del pianeta, gli obiettivi fissati dallo Statuto e fatti propri dai famosi 193 Paesi di cui sopra sembrano una barzelletta. No all’uso della forza (se non, appunto, quella decisa ed esercitata dall’Onu) nelle relazioni internazionali, rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità degli altri Paesi, non ingerenza negli affari interni altrui…Ma figuriamoci, quando mai? Eppure le Nazioni Unite sono ancora lì e a nessuno viene in mente di dichiarare quella bancarotta che pure pare evidente.

Il segreto della sopravvivenza e del perdurante fascino dell’Onu sta forse proprio nel fatto che le illusioni sono da tempo disperse ed è rimasta la politica, quella brutta sporca e cattiva e molto spesso utile che viene praticata nelle cancellerie e nei corridoi del potere. Secondo Freedom House, l’organizzazione indipendente che controlla l’evoluzione (o, meglio, l’involuzione) della democrazia nel mondo, il 55% dei Paesi che siedono all’Onu non è democratico. In quale altra sede, quindi, si ha una rappresentazione plastica tanto efficace dello stato del mondo? La pace e l’amore tra i popoli? Non cerchiamoli lì. L’alta diplomazia? Basta guardare a certe sbiadite figure di segretario generale per capire che anche quella viene prodotta soprattutto altrove. Eppure l’Onu è una straordinaria coreografia in cui il mondo mette in scena se stesso, a ben vedere con pochi infingimenti. Ed è il luogo in cui i leader e le nazioni possono scambiarsi i loro messaggi rispettando la forma e potenziando la sostanza. Il discorso con cui Donald Trump ha minacciato la Corea del Nord di distruzione e l’Iran di una dura iniziativa politica non avrebbe avuto la stessa efficacia se fosse stato pronunciato alla Casa Bianca. E la sottile ma non meno minacciosa risposta del presidente iraniano Rouhani sarebbe quasi passata inosservata.

L’Onu, infine, riflette lo stato del mondo e dei rapporti tra le nazioni anche in un altro modo. Il suo budget, che negli anni Settanta era dedicato soprattutto agli aiuti umanitari e sociali, oggi è impegnato soprattutto a sostenere i quasi 83 mila uomini impegnati in 15 missioni internazionali di peacekeeping. Segno dei tempi. E segno degli equilibri la lista dei Paesi che versano i maggiori contributi a questo scopo: Usa (con il 28,5% del totale), Cina (10,25), Giappone (9,68), Germania (6,39), Francia (6,28), Regno Unito (5,77), Russia (3,99) e Italia (3,75). Non è un ritratto perfetto dello stato delle cose?

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