Macron vince
Record astensione

Stando agli exit poll, Emmanuel Macron esce un po’ ridimensionato dal ballottaggio delle elezioni legislative, perché il suo partito «République en marche», cui certi sondaggi assegnavano fino a 450 seggi, è rimasto alquanto al di sotto di questa schiacciante maggioranza parlamentare. Avrà comunque almeno due terzi dei seggi, cioè quanto l’appena trentanovenne presidente ha bisogno per attuare il suo programma. Ma la sua vittoria è stata offuscata dalla bassissima affluenza alle urne -43%, record per una elezione francese e inferiore di oltre il 5% a quella già scarsa del primo turno – autorizzando i suoi avversari a sostenere che non ha una autentica investitura popolare e che solo il maggioritario a doppio turno gli ha regalato un numero di deputati di tanto superiore ai consensi di cui gode nel Paese.

Ed è anche vero che il suo governo, presieduto da un ex gollista e composto da uomini provenienti un po’ dalla destra e un po’ dalla sinistra potrebbe creargli qualche problema, e che un gruppo parlamentare formato per i tre quarti da novizi della politica provenienti da tutti gli strati sociali, con un’età media di 43 anni (contro i 65 del vecchio Parlamento) non sarà sempre facile da gestire e potrebbe facilmente dividersi in correnti quando si tratterà di votare le grandi riforme.

Ma in poco più di un mese dalla conquista dell’Eliseo, Macron ha già conseguito una serie di risultati che fanno sperare che possa diventare davvero il protagonista dell’ennesima «rivoluzione» francese o addirittura, come auspica l’Economist, il possibile salvatore dell’Europa. Ha restituito ai suoi concittadini, che secondo un sondaggio erano sei mesi fa i più pessimisti d’Europa, un po’ di fiducia in se stessi, mostrando loro che il cambiamento è possibile.

Si è mosso in modo impeccabile sulla scena internazionale, rilanciando subito l’asse con la Germania, prendendo le giuste distanze sia da Putin, sia da Trump e non chiudendo la porta agli inglesi. Ha inflitto un colpo durissimo a tutto il populismo europeo, umiliando Marine Le Pen i cui deputati nel nuovo Parlamento si conteranno sulle dita di una mano. Infine, ieri, nonostante repubblicani e socialisti abbiano conquistato più seggi del previsto, ha fatto un bel passo avanti verso la destrutturazione del vecchio e sclerotico assetto politico, relegando in secondo piano (almeno per ora) la storica spaccatura tra destra e sinistra, attingendo le migliori idee da entrambe le parti.

Le sfide che Macron dovrà affrontare fin da subito saranno soprattutto due: le riforme economiche necessarie per abbattere una disoccupazione del 10% e la ripresa della collaborazione con Berlino per migliorare le strutture della Ue, dare un assetto più stabile all’Euro e riprendere la strada dell’integrazione.

Entrambe presentano considerevoli difficoltà. Per il rilancio dell’economia, il presidente dovrà affrontare anzitutto la riforma del mercato del lavoro e la radicale modifica di uno “statuto dei lavoratori” di 3.000 pagine che ostacola le assunzioni, rende difficili le nuove iniziative e aumenta i costi di produzione. E’ senz’altro un provvedimento “di destra” (anche se promosso da un ex ministro dell’Economia socialista), che incontra il favore degli imprenditori e la furiosa ostilità dei sindacati, già pronti a scendere in piazza. Ma le due confederazioni, che in passato sono riuscite a impedire ogni riforma, rappresentano ormai solo l’8% dei lavoratori, quasi tutti del settore pubblico; perciò, stavolta la loro resistenza potrebbe essere vinta, anche perché in cambio Macron offre diverse altre innovazioni che possono essere definite “di sinistra” .Il dossier Germania avrà la sua prima verifica il 17 luglio in un grande vertice che coinvolgerà tutti i ministri di entrambi i Paesi. Macron, andando decisamente controcorrente, ha vinto con un programma europeista molto spinto, che prevede tra l’altro la creazione di un ministro delle Finanze della UE, che su diversi punti va oltre quanto i tedeschi sono oggi disposti ad accettare. Ma alla Merkel Macron piace, e anche se in attesa delle elezioni di settembre non potrà impegnarsi più di tanto, le prospettive di una intesa vengono giudicate buone. Sarebbe una svolta epocale per la UE, che coinvolgerebbe tutti noi. Tuttavia, i problemi, anche tecnici, sono tanti, e non bisogna illudersi anzitempo.

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