Mai risolti i problemi
economici dell’italia

Sono nove i Paesi dell’Unione monetaria che quest’anno avranno un surplus di bilancio. L’Estonia, la Grecia, Cipro, la Lituania, il Lussemburgo, Malta, l’Olanda, la Slovenia fanno notizia. Non è più solo la Germania la prima della classe della disciplina di bilancio. E tutto questo proprio quando l’Italia aumenta il deficit. Un aumento che per la Commissione è in difetto perché a Bruxelles si prevede per il 2019 un disavanzo di quasi il 3% in contrasto con il 2,4% previsto dal governo. E questo anche in previsione del 2020.

Il ministro Tria ribatte e parla di défaillance tecnica figlia di un’analisi non attenta e parziale. Sono parole gravi perché mettono in dubbio la serietà metodologica dei colleghi di Bruxelles. Dalla Commissione hanno fatto sapere di adottare criteri oggettivi ormai in uso da tempo. È evidente che a questo punto il dialogo è tra sordi perché le valutazioni in questione non sono più tecniche ma squisitamente politiche. Roma ritiene di agganciare la crescita con incentivi a debito, Bruxelles al contrario pensa che solo un bilancio risanato renda possibile un ritorno alla competitività. Va detto che la filosofia dell’esecutivo lega-pentastellato non si distacca di molto dall’approccio a sua volta adottato dal governo Renzi. Con i famosi ottanta euro, con il bonus giovani, con i sussidi a fondo perduto agli insegnanti per acquisto di strumenti elettronici di aggiornamento si intendeva incrementare la domanda interna. La differenza sta nell’interpretazione delle regole di disciplina di bilancio. Graduale e contrattata con Renzi e Gentiloni, conflittuale con il duo Di Maio-Salvini. Basti leggere le dichiarazioni di Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Veneto, per capire dov’è il vero problema dell’economia italiana.

La burocrazia che intralcia, le lungaggini della giustizia, il carico fiscale eccessivo, il costo del lavoro per effetto del cuneo fiscale. Problemi che assillano le agende dei governi sin qui succedutisi negli ultimi dieci anni e mai risolti. Sono temi che colpiscono soprattutto le imprese che non si sentono supportate dal sistema. Per stare al passo con la concorrenza vanno ridotti i costi fissi cioè la struttura di costo del Paese nel suo insieme. Questo reclama la parte produttiva del Paese. Ma sono altri gli umori che prevalgono e il tema della centralità dell’impresa fa fatica a imporsi.

È normale che Catania vada in default per 1,6 miliardi e che nella recente campagna elettorale in primavera per il rinnovo del Consiglio comunale nessun candidato ne abbia parlato? Chi osa ora lasciare senza stipendio le diecimila famiglie dei dipendenti comunali e delle partecipate, senza contare le imprese dell’indotto che vivono di commesse pubbliche? Il sindaco piange miseria e invoca aiuto, e Roma dovrà ripianare, pena la rivolta sociale. Così coloro che pagano le tasse e le imposte oltre a vedersi presi in giro dal buonismo condonista ora dovranno sostenere i costi dell’inefficienza amministrativa e dell’assistenzialismo. Qui sono i tagli da operare che la buona amministrazione richiede e la politica si nega. Quindi a Bruxelles si rassegnino, il governo italiano continuerà sulla strada dell’azzardo. Ha tutti contro, Commissione europea, la Bce di Mario Draghi, i singoli Stati dell’Eurozona, le agenzie di rating, i mercati, ma se viene meno alle promesse elettorale è perduto. Confida nella paura altrui. Un’uscita dall’euro dell’Italia costa. Va solo valutato a chi costa di più. Chi di sicuro ci perde è il risparmiatore italiano, ma a questo punto è ininfluente. Il Paese è pronto a battersi per il suo suicidio.

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