Mattarella e gli alpini
C’è ancora l’Italia vera

«Pensaci tu», hanno chiesto i trentini al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, arrivato a Trento per l’Adunata nazionale degli alpini. Un presidente della Repubblica mancava dalla grande adunata delle penne nere da 20 anni. L’ultimo fu Oscar Luigi Scalfaro, nel 1998, a un anno dalla fine del suo settennato al Quirinale. Mattarella ha scelto gli alpini per respirare aria nuova, dopo gli oltre due mesi trascorsi tra consultazioni, indiscrezioni, esplorazioni e (altrui) giochetti di palazzo dopo l’esito incerto delle elezioni del 4 marzo.

Mattarella all’adunata degli alpini sembra quasi una contraddizione. Parrebbe impossibile in natura calare un presidente tanto austero, riservato, capace di toni fermi ma sempre contenuti, nell’evento forse più chiassoso, che ogni anno riunisce sotto i loro cappelli su per giù mezzo milione di alpini. La sua austerità, la sua fedeltà all’ordinamento, la sua buona rigidità, da un lato. La goliardia, il pizzico d’anarchia, il disordine perfettamente organizzato degli alpini, dall’altro.

Eppure, la gente trentina ieri ha risposto sull’attenti sia al presidente che agli alpini. Uniti da cosa? Loro, i trentini della provincia (molto) autonoma di Trento. Loro, che pure qualche allarme lo avevano suscitato, con le proteste per la scelta della data, i cent’anni della Grande Guerra. Loro, che sui social e sui media non hanno fatto mancare qualche nota stonata, nel tentativo di ribadire che l’autonomia, l’origine, e una certa lettura della storia vengono prima del cappello alpino. Anche loro, alla fine, hanno abbracciato gli alpini, come sempre accade ovunque arrivi l’adunata.

Forse anche per questo lo schivo Mattarella deve aver desiderato questa boccata d’ossigeno, questo viaggio andata e ritorno dal gelo dei palazzi al calore degli alpini. Perché le penne nere, e in fondo anche la reazione di Trento di fronte all’adunata «in carne e ossa», dimostrano che un’Italia vera, buona, che va avanti con la buona volontà, c’è. Non è un’Italia che fa calcoli di convenienza, non è l’Italia del cinismo imperante, quella degli alpini. È l’Italia che fa tanto, e comunque tutto quello che può, con poco. Con quello che ha.

Nessuno lo dice, pochi lo sanno, di certo gli alpini non si mettono in mostra. Eppure sono loro, ancora oggi, al centro di tanti progetti di ricostruzione delle regioni terremotate del centro Italia. Se c’è bisogno, loro ci sono, e quando ci mettono il cappello, la gente si fida, e si affida.

Per questi progetti l’Ana ha raccolto, in pochissimo tempo, diversi milioni di euro, e ha mandato la gente a lavorare. Sono i primi a partite e gli ultimi a venire via, e se appena appena possono, scappano dai riflettori. In questo sì, simili al presidente Sergio Mattarella.

«Pensaci tu», gli hanno chiesto i trentini, proprio come «pensateci voi» si dice agli alpini quando c’è bisogno. E adesso l’Italia ha bisogno, stretta fra una crisi infinita e la fine della crisi che pure, diciamolo, spaventa un po’.

Aveva giacca e cravatta, da presidente, e i capelli bianchi perfetti. Non camicia a quadrettoni e capelli spettinati sotto il cappello un po’ strapazzato da giorni di adunata. Ma ieri mattina, a Trento, Mattarella è diventato un po’ l’alpino d’Italia. L’Italia della buona volontà non è uno slogan: c’è, eccome, a dispetto di quella parte della politica che pensa più a se stessa che ai cittadini, a dispetto del malaffare che impera, e delle piccole furbizie che tutti subiamo ogni giorno. Gli alpini e i trentini hanno riconosciuto in Mattarella la buona volontà che ci mette per servire, anziché farsi servire. E gli hanno voluto dire il loro grazie. Quella degli alpini è l’Italia migliore.

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