Mattarella ha scelto
il male minore, e non è finita

C’era chi sperava che Mattarella negasse l’incarico a Giuseppe Conte, travolto dalle critiche anche internazionali sul suo curriculum, sul caso Stamina, sulla casa ipotecata per tasse non pagate. Illusione. Quando Mattarella ha chiesto a Di Maio e Salvini se si fidavano ancora di Conte, ha avuto due sì convinti, ma soprattutto ha capito che, se avesse negato la nomina, sarebbe stato trattato alla stregua di un golpista, come in pratica la famiglia Di Battista, padre e figlio, gli hanno detto in faccia. Tutto poteva augurarsi il Capo dello Stato che aprire una battaglia con la maggioranza parlamentare (perché tale è) che avrebbe trascinato la presidenza nella piazza dello scontro politico facendola scendere dal Colle super partes.

Dunque, Mattarella ha scelto il male minore: ha chiamato Conte, lo ha catechizzato per un paio d’ore, ha chiesto e ottenuto garanzie, e poi gli ha dato l’incarico. Il professore si è dimostrato per il momento obbediente: tanto è vero che nella dichiarazione dopo il colloquio ha tenuto a ribadire la fedeltà europeistica e a rivendicare i suoi poteri di presidente del Consiglio che vuol essere qualcosa di più dell’amministratore del condominio pentastellato. Adesso però il professore deve mettere giù la lista dei ministri, e non sarà facile. La strada verso il ministero dell’Economia di Paolo Savona, studioso autorevole ma euroscettico, è sbarrata dal Quirinale ma Salvini è pronto ad ingaggiare il braccio di ferro: chi vincerà? C’è lo spread a quota duecento a consigliare prudenza ma il leader leghista ha un’idea tutta sua del confronto con mercati ed Europa. Lo ha dimostrato ieri mandando tranquillamente a quel paese una commissaria europea che aveva criticato il contratto di governo. «Vada a lavorare» è stato lo spiccio consiglio del leader leghista.

Compilando la lista dei ministri e poi dei sottosegretari Conte dovrà poi stare molto attento a scontentare meno gente possibile, a cominciare da Salvini (che vuole l’Interno per sé) e Di Maio (che si pensa come super ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico) per finire con le truppe di senatori e deputati. Bisogna considerare che al Senato il governo nascituro ha sei voti di maggioranza e due di loro (Lannutti e Nugnes) già si lamentano e borbottano. L’aula di Palazzo Madama è una macchina stritola-governi, e con quei numeri non sarà facile far passare una qualunque scelta politica che potrebbe scontentare questi o quelli sia che venga percepita come troppo aggressiva o eccessivamente compromissoria. Conte non potrà aspettarsi nessun soccorso discreto: Berlusconi è decisamente all’opposizione, Giorgia Meloni (che dispone di diciotto senatori) dà a Salvini del «traditore», per non parlare di Pd e Leu. Forse qualcosa si può trovare al gruppo misto o tra i grillini espulsi in campagna elettorale. In ogni caso non saranno rose e fiori. Il presidente incaricato, che non ha alcuna esperienza di governo, neanche come capo di gabinetto, e nemmeno uno standing internazionale, ha cominciato leggendo i sarcasmi su di lui sul Financial Times e il New York Times. Solo un antipasto di quel che lo aspetta.

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