Migranti come schiavi
orrore in Libia

Cosa sta succedendo nei campi di detenzione libici in cui vengono «trattenuti» i migranti? Da tempo si sono levate tantissime denunce sulle condizioni disumane di detenzione. Nei giorni scorsi si è aggiunta anche la Cnn con la documentazione di vere e proprie aste nelle quali vengono venduti i migranti in alcuni di questi centri. Il filmato è stato consegnato anche alle autorità libiche perché indaghino su queste incredibili derive di neoschiavismo. In Libia, secondo l’Iom (International Organization for Migration), si trovano almeno 300 mila immigrati, ma è una cifra secondo molti esperti per difetto.

Ad esempio Attilio Ascani direttore di Focsiv, rete di Ong cattoliche, parla di mezzo milione di persone. I numeri ovviamente sono andati gonfiandosi negli ultimi mesi perché gli accordi tra Italia e Libia hanno portato a un rallentamento del flusso di migranti nel Mediterraneo. Proprio per questo il nostro Paese e la Ue sono finiti nel mirino delle polemiche, perché indirettamente responsabili di ciò che si sta consumando in centri di raccolta, oggi in gran parte fuori da ogni controllo perché nelle mani delle milizie libiche. La Commissione europea da parte sua è finita sotto accusa, per via della decisione presa nell’aprile scorso di destinare 90 milioni, tramite il Fondo Fiduciario Europeo di Emergenza per l’Africa, per «gestire le migrazioni in Libia attraverso attività di protezione e sviluppo economico». Ma il vero rischio, pur davanti alla documentazione di situazioni drammatiche come queste, è che politica ed istituzioni si trovino paralizzate. E non solo per la mancanza di un interlocutore politico con cui affrontare l’emergenza (il governo riconosciuto dall’Onu, quello di Fayez al-Sarraj controlla solo una piccola parte dei centri di detenzione). La Libia infatti non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 che regola il Diritto d’asilo. Quindi non contempla la figura del «profugo»: chi varca i suoi confini è un clandestino e ha commesso un reato. I campi quindi non sono né di raccolta né tanto meno di accoglienza, bensì di detenzione.

Per affrontare la situazione dei campi, l’Italia ha tentato un’altra operazione: su iniziativa del vice ministro degli Esteri Mario Giro, ha proposto ad alcune Ong di impegnarsi in un’attività di controllo dei centri. In particolare il Governo ha stanziato 2 milioni per implementare progetti in tre campi: Tarek al Sika, Tarek al Matar e Tajoura. «È un bando per le nostre Ong che potranno recarsi ad operare nei centri anche nella prospettiva di chiuderli, di superarli», ha spiegato Mario Giro, che nei giorni scorsi ha incontrato i rappresentanti delle Organizzazioni non governative a Tunisi. «In attesa che Iom e Unhcr arrivino ad un accordo con le autorità libiche per mettere in campo una operazione sotto la loro egida, noi iniziamo ad operare nei centri esistenti in modo da non abbandonare a loro stessi i migranti che, sappiamo bene, si trovano in condizioni molto difficili».

Ma c’è un altro problema: le agenzie Onu potranno intervenire solo se i campi di detenzione verranno trasformati in campi per «richiedenti asilo». L’idea però non viene accettata dalla Libia. Per questo l’Italia ha proposto un’altra mediazione: costituire un «campo di transito» dell’Unhcr in cui andrebbero le persone più vulnerabili provenienti dai centri di detenzione e, assieme all’Iom, effettuare rimpatri volontari ed eventualmente l’Unhcr valuterà le richieste di asilo. Insomma, se la situazione è drammatica e moralmente inaccettabile, c’è chi sta lavorando per trovare soluzioni praticabili. E non bisogna mai dimenticare che quello che sta accadendo oggi è anche esito di una diplomazia occidentale (americana e francese in primis) che con piglio giustizialista aveva puntato alla caduta di Gheddafi, senza minimamente preoccuparsi di proteggere la Libia dal conseguente caos e dal vuoto di potere.

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