Partiti in stallo
Mattarella vigila

La prima giornata di consultazioni è andata come si prevedeva: una lussuosa routine senza alcun esito politico. Giorgio Napolitano avrà dato qualche buon consiglio, i due presidenti della Camera e del Senato anche, appena più venati dalle appartenenze politiche, e dal caravanserraglio dei gruppi misti sono arrivate mille posizioni diverse, tutte accomunate dall’attendismo interessato di chi prova a far valere qualche voto parlamentare in tempi di quasi-maggioranze. Un lampo dello scontro politico si è avuto solo con la Meloni, assai determinata a dire «no» ai governicchi, come li chiama lei, e a rivendicare al centrodestra il primato in questa legislatura tanto da rifiutare con sdegno i veti di Luigi Di Maio.

Posizione molto allineata con Berlusconi e a favore dell’unità di una coalizione di partiti che solo insieme possono pensare di prevalere se non vogliono, divisi, finire a far da cavalier serventi ai Cinque Stelle.Oggi si entra nel vivo, per modo di dire, con i partiti più grandi: Forza Italia, Lega, Pd, Movimento Cinque Stelle. Tutti ribadiranno le posizioni di partenza e in tre opporranno il rifiuto alle ultime proposte tattiche di Di Maio. Se qualcuno pensava che il centrodestra si sarebbe squagliato al primo diktat penta-stellato, almeno per ora si è sbagliato: il vertice tenutosi ieri ha ripetuto che Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia non ci stanno al gioco di chi vorrebbe dividerli emarginando Berlusconi e magari sottraendogli deputati e senatori.

A Di Maio che ha proposto a Salvini un contratto «alla tedesca» il salviniano Giorgetti ha risposto che loro non si macchieranno di un tradimento «all’italiana». Per soprammercato, Berlusconi ha ripetuto l’assoluta incompatibilità del suo partito e dei suoi alleati ad una intesa con il M5S. Insomma, per ora porte chiuse. Casaleggio proverà ancora a forzare i chiavistelli sapendo che nel campo ex berlusconiano le divisioni non mancano, come le suscettibilità e le ambizioni, ma per il momento sembra che non ci sia alcunché da fare. Anche la seconda porta cui bussa Di Maio resta chiusa. Il reggente del partito democratico Maurizio Martina (che si candida alla segreteria nell’assemblea del 21 aprile) ripete per l’ennesima volta che i dem resteranno all’opposizione anche se, ovviamente, oggi non potranno esimersi da dare al Capo dello Stato la disponibilità alla soluzione del rebus politico. Ma niente di più.

O meglio: se ci sarà qualcosa di più lo sapremo soltanto il 21 aprile quando, appunto all’assemblea, potranno venir fuori i mal di pancia di chi pensa che la linea aventiniana, imposta da Renzi all’indomani del voto e mai smentita, condanni il Pd all’irrilevanza politica. Molti pensano che Dario Franceschini possa farsi capofila di una simile tendenza, e forse è per questo che Di Maio in televisione ne ha tessuto l’elogio come ministro: mossa però un po’ ingenua che non dovrebbe aver commosso più di tanto il (finora dal M5S criticatissimo) responsabile dei Beni culturali. Insomma da ieri a oggi non un solo passo avanti. Per cui è probabile che Mattarella si prenderà un lungo fine settimana di riflessione prima di avviare un secondo giro di colloqui. Qualcuno si aspetta che in giornata il Capo dello Stato possa uscire dallo studio «alla Vetrata» e parlare con i giornalisti, un po’ per tirare le prima somme, un po’ per far pressione sui partiti. Il presidente della Repubblica ha in mano l’arma di una sua iniziativa che costringerebbe i partiti a schierarsi pro o contro: che ci si arrivi è possibile mentre l’ipotesi delle elezioni anticipate (di nuovo agitata da Salvini) è sicuramente l’ultima nella considerazione del Quirinale.

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