Paura astratta
e senso del reale

Che paura ieri sotto i cieli di Lombardia. Due caccia infrangendo la barriera del suono per raggiungere un Boeing francese che aveva interrotto i contatti radio, hanno seminato il panico in mezza regione. I social sono impazziti e in pochi minuti sono dilagate le più disparate interpretazioni del botto. Alla fine le cose si sono chiarite, e dalla paura si è passati alla curiosità per quanto accaduto. Ci sta che un evento abbastanza insolito provochi spavento: è nell’ordine delle cose e non c’è da farci troppe teorie. Accade da sempre nella storia dell’uomo. La novità oggi è piuttosto un’altra: la velocità con cui viaggia la comunicazione finisce come un fenomeno a valanga a far perdere le dimensioni reali a queste paure.

Paradossalmente quello che dovrebbe essere uno strumento di conoscenza e quindi di razionalizzazione dei fenomeni è diventato un enfatizzatore di psicosi. Invece di scambiarci informazioni, ci scambiamo fantasmi e paranoie. La paura è sempre stata una componente sana nella vita delle persone. È grazie alla paura che in tante stagioni della sua storia l’uomo ha imparato a prevenire le minacce e ha messo a punto le risposte per salvarsi dai pericoli. Quindi non si deve avere paura della paura: anche ieri c’è stato chi sulla base di un protocollo ha deciso di portare i ragazzi fuori dalle aule. Non ce n’era bisogno, ma quella può essere letta come una risposta razionale indotta dalla paura.

Invece il nostro è un tempo in cui la paura ha preso contorni sempre più indifferenziati. Un sociologo di grande successo, Marc Augé, ha scritto che oggi viviamo ostaggi di «una matassa indistinta e confusa di paure». Così non sappiamo più rispondere ma restiamo come paralizzati e incapaci di reagire. Oggi la paura è come un filtro frapposto tra noi e la realtà. Un filtro che omologa tutto, e rende tutto ciò che ci circonda come potenziale pericolo e quindi potenziale nemico. Oltretutto si sono allargati i confini, nel senso che ci fa paura non solo quello che accade sopra le nostre teste come ieri, ma ci terrorizza l’episodio avvenuto a migliaia di chilometri di distanza. La paura infatti annulla le distanze e fa avvertire come prossimo e incombente anche quello che è lontano e verosimilmente improbabile per noi. La paura ha incorporato una dimensione globale. In questo modo cambia di natura e si trasforma in ansia, che è un sentimento non più circoscritto a situazioni particolari ma che diventa stato d’animo costante. L’ansia è come l’aria: la respiriamo senza neanche rendercene conto. Senza che ce ne siamo accorti è diventato lo sfondo permanente delle nostre vite.

La cosa che fa paura della paura del nostro tempo (perdonate il gioco di parole) è il suo essere astratta, quindi imprendibile, ma il suo avere ricadute molto e spesso tristemente concrete nella vita della persone. La paura corrode i legami sociali, diffonde scetticismo e sospetti. Ci rende nemici di quello che è invece il bene più grande che abbiamo: cioè l’altro. Così l’unica arma di difesa possibile sembra quella di alzare muri e di rifugiarsi nel fatalismo che induce sempre a battaglie difensive. Se una reazione viene sollecitata è sempre quella retorica e inutile dell’indignazione.

La paura che nella storia è stata un fattore che sollecitava il progresso per cercare di vincerne la cause, oggi invece genera regressione. Come ha sintetizzato in modo molto sincero e quasi brutale lo stesso Marc Augé, se un tempo gli uomini avevano paura della morte, oggi hanno invece paura della vita.

Siamo partiti da un episodio da poco per arrivare a conclusioni forse un po’ fuori misura. Eppure anche episodi come quello di ieri possono servire a richiamarci ad avere un rapporto diverso con le cose. Ad usare più la nostra testa che i social media. A farci domande prima di bere tutte le risposte che ci piovono addosso. L’antidoto alle paure globali che ci circondano non sono altro che cose molto semplici come ad esempio l’intelligenza e il senso di realtà.

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