Perché la scuola
è in disordine

Ha fatto scalpore, anzi scandalo, la sentenza del Consiglio di Stato del 20 dicembre scorso con cui si stabilisce che chi è in possesso di un diploma per l’insegnamento nella scuola primaria conseguito entro l’anno scolastico 2001-2002 non può essere inserito nelle Graduatorie a esaurimento (Gae). Come noto, fino all’anno scolastico 2001-2002 era possibile accedere all’insegnamento nella scuola dell’infanzia e della primaria attraverso il diploma abilitante conseguito al termine di alcuni percorsi della scuola secondaria di II grado; in quanto abilitante all’insegnamento, questo titolo di studio non richiedeva ulteriore formazione professionalizzante, ma consentiva a chi lo possedeva di inserirsi direttamente nei «canali» di accesso (le graduatorie) via via escogitati dalla fertile burocrazia ministerial-sindacale.

Dal 2002 ad oggi, l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria prevede una formazione universitaria, prima quadriennale ed ora quinquennale, che si conclude con un titolo abilitante, atto sia alla partecipazione ai concorsi nazionali, sia all’inserimento nelle graduatorie. In questi quindici anni è accaduto che il/la diplomato/a magistrale ante 2002, in quanto abilitato/a, abbia potuto regolarmente inserirsi nelle Gae, avendo quindi la possibilità, esattamente come il laureato in Scienze della formazione primaria, sia di ottenere supplenze anche annuali, sia di accedere ai percorsi previsti per l’accesso in ruolo. Tale prassi è stata possibile, sia pur tra le proteste e le azioni giudiziarie intraprese dai laureati che via via concludevano il loro percorso, grazie a ben cinque sentenze del Consiglio di Stato che, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di questa procedura, l’ha ripetutamente avvallata.

La sentenza del Consiglio di Stato del 20 dicembre scorso ribalta questa situazione e crea, da un punto di vista giuridico ed amministrativo, una situazione di totale disordine, per cui risultano a rischio non solo migliaia di docenti che nel frattempo sono già stati assunti a tempo indeterminato o hanno avuto supplenze annuali, ma anche altrettante migliaia di docenti iscritti alle Gae, variamente coinvolti in riserve, provvedimenti cautelari, ecc. Le associazioni professionali e i sindacati tuonano ricorsi europei, il Miur minimizza, promette «soluzioni politiche», cerca di rassicurare docenti, dirigenti e famiglie negando che questa sentenza possa in qualche modo sovvertire, a gennaio, la spesso precaria stabilità degli insegnanti che lavorano nella scuola dell’infanzia e primaria. Di fronte a questa situazione, due semplici considerazioni. 1) Questa sentenza e i problemi che pone altro non sono che l’ennesima riprova di ciò che capita quando si è deliberatamente scelto di affidare il governo della scuola all’esito dei ricorsi, dei contro-ricorsi e delle sentenze della giustizia amministrativa, chiamata all’impossibile compito di dare «regole certe» a norme che fin dalla loro emanazione appaiono perfettamente inadeguate rispetto alla complessità delle situazioni che in teoria dovrebbero regolare. 2) Deve essere molto difficile per una cultura burocratica ed amministrativa, vissuta per oltre un secolo nel principio di un governo centralistico ed uniforme del reclutamento, ammettere che la situazione è ormai insostenibile. Non c’è possibilità di riforma centrale che tenga. Crea solo ulteriore disordine. L’unica strada da percorrere è quella di affidare alle reti di istituzione scolastiche l’assunzione dei docenti non solo come l’esito di un «diritto» legato al possesso di un’abilitazione, ma come lo strumento strategico per garantire la qualità dell’educazione che in quel territorio e in quelle scuole si intende realizzare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA