Politiche familiari
Modelli sociali

Il calo demografico non conosce soste. Anche il 2016 nelle proiezioni dell’ Istat vede una diminuzione del 6% sull’ anno precedente. Il 2015 ha segnato il punto più basso dal 1861 con l’ abbattimento della soglia dei 500 mila nati. Un dato simbolico perché nel 1964 le nascite erano esattamente il doppio. Il Paese è avanzato sulla strada del benessere ma al contempo ha segnato un’inversione di tendenza nello sviluppo demografico. Se le comunità non prolificano si espongono a rischi di denatalità che hanno ripercussione anche sull’ economia.

Le pensioni degli anziani in prospettiva rischiano di non essere più sostenibili per mancanza di contributi lavorativi da parte delle generazioni più giovani. È un problema soprattutto europeo perché in America il fenomeno non è ancora così rilevante. In Germania le politiche di sostegno alla famiglia hanno avuto sempre un rilievo nei programmi di governo. Al cosiddetto «Kindergeld» cioè un contributo fisso per ogni figlio nato, adesso si è aggiunto «Elterngeld», il sostegno al genitore che rimane a casa nei primi anni di vita del bambino. Nel frattempo si sono costruiti asilo nido ovunque nel Paese per far fronte ai bisogni delle madri impegnate in attività lavorative per tutto il giorno. Insomma chi ambisce avere figli in Germania può contare su un sistema sociale in grado di sopportarlo.

E tuttavia questo Bengodi dell’ assistenza alla maternità deve registrare uno dei più alti cali di natalità dell’ intero continente. La popolazione tedesca è tra le più vecchie in Europa. Si sono registrati ultimamente dei miglioramenti soprattutto nelle grandi città, dove le infrastrutture sono migliori, ma non basta per definire una tendenza. Da qui l’ interrogativo: che cosa determina una così scarsa propensione a generare figli?

Appare evidente che gli incentivi economici e sociali non bastano per determinare un cambio di passo e quindi un’ inversione di tendenza. Questo non vuol dire che si possa far a meno di una politica di sostegno familiare, ma fondare gli interventi solo sugli incentivi evidentemente non basta. E qui va fatto un ragionamento che riguarda il modello di sviluppo delle nostre società. L’ individualismo prevede la prevalenza dei diritti dei singoli e spesso sottace la voce dei doveri.

Non è pensabile di ottenere tutto senza mettere in conto un’ idea possibile di rinuncia o di sacrificio. Il figlio rientra non nelle opportunità, ma nella scelta. Così si pensa di far figli quando la carriera è assicurata. Col risultato che l’ età delle puerpere avanza sensibilmente e i quarant’ anni, grazie alle nuove tecniche, non sono più una soglia insuperabile.

Accade anche che il desiderio di emanciparsi dalla paternità faccia attingere alla banca del seme per una gravidanza autogestita, secondo i bisogni dell’ individuo. Accade in Svezia, come denunciano anche recenti filmati di operatori cinematografici attenti agli stravolgimenti delle consuetudini umane che l’ uso sconsiderato della tecnica determina. È richiesto un salto culturale che premi la maternità e ne faccia un valore premiante. Per questo bisogna che le aziende stesse non vedano nella collaboratrice con figli un possibile ostacolo alla produttività. È vero il contrario. Una madre appagata che è circondata dal consenso sociale e nel riconoscimento pubblico è una ricchezza umana e produttiva.

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