Ponti, il Paese
si morde la coda

Parafrasando Ennio Flaiano, verrebbe da dire che la situazione dei ponti è come quella dell’Italia, «drammatica ma non seria». In quale altro Paese, mentre i ponti vengono giù come foglie in autunno, si sarebbe dato vita ad un nuovo organismo di controllo, naturalmente nato sulla spinta emotiva di una tragedia (il crollo di Genova) salvo poi lasciarlo sostanzialmente fermo perché a) il suddetto ente è in attesa del parere del Consiglio di Stato sul regolamento attuativo e b) il medesimo è stato messo nero su bianco solo lo scorso agosto? Nota bene: l’emotività ha avuto il suo ruolo decisivo, ma un organismo del genere era previsto dalla normativa europea già dal 2008. Diciamo che ce la siamo presa comoda prima di partorire l’Ansfisa (che sta per Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali), un Leviatano paraministeriale che promette male già solo dal nome.

La verità è che i ponti sono l’amara fotografia di un’Italia senza più sicurezza: Annone, il Morandi a Genova, l’autostrada Adriatica, lo stop per motivi di sicurezza al San Michele sono solo i primi esempi – quasi a memoria – di un Paese che sta letteralmente perdendo i pezzi. Dove chi ha il polso del territorio, come le Province, è stato svuotato di compiti e soprattutto soldi. E chi invece questi ultimi ce li ha, vedi le concessionarie autostradali, pare particolarmente abile nello sfruttare ogni via di fuga possibile, complice anche la sostanziale assenza di controlli pubblici. E, prima ancora, una visione chiara delle responsabilità: annoso problema italico.

In un’epoca dove tutti siamo connessi virtualmente, il rischio è che comincino a venire meno le relazioni fisiche: una fetta importante della provincia di Bergamo per un anno ha dovuto raddoppiare i tempi di viaggio per andare e tornare dal lavoro (non a fare shopping) perché un ponte si è scoperto a rischio. In una provincia che, dopo l’enfasi emotiva del crollo del ponte di Genova, ha presentato allo Stato l’elenco delle emergenze alla voce ponti, viadotti e frane, e vale la pena di ricordare la situazione emersa in quella lettera della Provincia: 84 opere prioritarie, 40 milioni necessari. Soldi arrivati finora? Così ad occhio, zero. Piccolo dettaglio, 10,6 milioni servono per i soli ponti delle strade provinciali, poi ci sono i 300 in carico ai Comuni. Perché nella nostra provincia tra ponti e viadotti siamo a quota 1.693, non tutti in condizioni ottimali. Anzi.

Mancano i soldi, mancano i controlli, manca una visione chiara ma purtroppo non manca la burocrazia. Quella mai. Per riuscire ad uscire velocemente dall’impasse del San Michele è stato necessario nominare un commissario straordinario. Al di là dell’enfasi vagamente neoborbonica, la mossa si è rivelata fondamentale per sottrarsi alle secche dei vari ministeri o agli sgambetti di questo o quel funzionario. Non a caso per un’opera come il collegamento ferroviario per l’aeroporto di Orio, Sacbo (e non solo) ha chiesto a gran voce una figura analoga ben sapendo i rischi che comporta la burocrazia ministeriale. Basti pensare che il Piano di sviluppo aeroportuale è fermo da un anno e mezzo nei meandri del ministero dell’Ambiente. Lo stesso che avrebbe invece dato il via libera da un anno ad un altro progetto molto atteso dal territorio, il nuovo casello dell’A4 di Dalmine. Ma stavolta ci si sarebbero messi di mezzo i colleghi dei Trasporti. E indovinate perché? Effetto ponte Morandi, ovvero il braccio di ferro sulle concessioni. Chiaro che con questi presupposti non si va da nessuna parte e si può solo sperare che non ci crolli tutto in testa. Il Paese, non solo un ponte.

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